venerdì 21 settembre 2012

XXV Domenica del Tempo Ordinario – Anno B – 23 settembre 2012

Rito Romano
Sap 2,12.17-20;Sal 53;Gc 3,16-4,3;Mc 9,30-37
La Croce a servizio dei piccoli

Rito Ambrosiano
IV Domenica dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore
1Re 19,4-8; Sal 33; 1Cor 11,23-26; Gv 6,41-51
Il pane del Cielo sostiene i piccoli in cammino per servire.

1) Un dia-logo (parola che va verso l’altro) esigente fra amici.
Per i suoi discepoli e quindi per noi, Gesù non è solamente un maestro, è anche un amico. E come amico -nel Vangelo di oggi- il Salvatore si confida alla sua comunità. In primo luogo rinnova l’annuncio della sua Passione e l’invito a percorrere il suo stesso cammino verso la Croce. In secondo luogo dice ai suoi amici che la modalità concreta per rispondere a questo invito è quella di farsi servitori dell’uomo, soprattutto dei piccoli da accogliere perché per Dio sono più importanti dei “grandi” uomini.
I discepoli allora e noi oggi abbiamo difficoltà a capire queste parole dell’Amico: «Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». 
 
Farsi servo e accogliere i piccoli nel suo nome – i due comportamenti che Gesù suggerisce alla sua comunità – sono due modi concreti, due esempi di imitazione del Signore Crocifisso; due modi concreti per convertire la mente ed il cuore dei discepoli, che non capiscono queste parole dell’Amico, perché il loro cuore e la loro mente sono lontani dal cuore e dalla mente del Maestro.
Come avvicinare il nostro cuore e la nostra mente al cuore e alla mente di Cristo?
Continuando il dialogo che Lui ha iniziato con noi e che raggiunse il suo vertice sulla Croce. Il Figlio di Dio dona la sua vita per l’uomo, per ristabilire il dialogo tra Lui e l’uomo. “Ciò prova che il desiderio di Dio era ed è di fare l’uomo un essere di dialogo, un essere uguale a lui. Per questo Dio sceglie gesti indelebili: sulla Croce Dio dona da uomo tutta la sua vita di Dio” (Maurice Zundel)
Il gesto di mettere i piccoli al centro della comunità, come anche quello del Figlio di Dio che lava i piedi dell’uomo, sono un annuncio del gesto finale sulla Croce, per insegnare all’uomo che può raggiungere la sua vera grandezza solamente nello spossessamento di sé, cioè nel dono di sé all’altro e all’Altro.
Il dialogo con Cristo non è un discorso su Dio, è un “vissuto” nell’amore. Il Verbo di Dio non è un suono che percuote l’aria, è una Presenza che è e dà la vita vera e duratura: eterna.

2) Chi mettere al centro?
Nell’episodio evangelico di oggi Gesù mette al centro un bambino. Dio Padre mette al centro del cosmo e della storia Cristo, il suo sì all’uomo, noi dobbiamo fare altrettanto.
Per mettere veramente Cristo al centro della nostra vita personale e comunitaria, occorre mettere al centro il bambino Gesù e accompagnarlo dalla culla di Betlemme alla “culla” del Calvario.
Se non diventeremo come il Bambino Gesù, non entreremo nel Regno dei Cieli, se non diventeremo come il “piccolo” uomo messo in Croce, non avremo parte al suo Regno.
Se saremo come bambini, rimarremo sorpresi di un Dio che si fa bambino, di un Dio che, in Cristo, vede e si fa vedere, sente e si fa sentire, tocca e si fa toccare; che si abbassa alla condizione umana e si serve dei sensi per farci capire la chiamata all’intimità del suo amore, alla santità.
Lo stupore di fronte all’Incarnazione del Verbo spinge a contemplare con venerazione le azioni, i gesti e le parole di Gesù. Quando lo si fa, si scopre che nella vita di Cristo tutto, dalla nascita fino alla morte in Croce, è impregnato di umiltà, perché “pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e morte di croce” (Fil 2, 6-8).
Secondo me anche il buon ladrone sulla croce è stato sorpreso da quel “piccolo” uomo che era in croce accanto a lui ma che non subiva la Croce, non scendeva da essa e la trasformava in uno strumento di salvezza, di speranza. Per quel criminale fu ovvio allora rivolgersi a Cristo, dicendo: “Signore, ricordati di me nel tuo regno!”. Che un crocifisso faccia ad un altro Crocifisso una richiesta del genere e ne riceva questa risposta: “Oggi sarai con me in Paradiso”, è una prova stupefacente e sublime dell’efficacia dell’umiltà divina.
Se Gesù fosse oggi nella nostra comunità familiare, parrocchiale, monastica, associativa, chi metterebbe al centro? Un bambino, un piccolo, un povero, risponderemmo noi.
No, metterebbe se stesso, o meglio il suo Corpo Eucaristico, chiedendoci di adorarlo e di prenderlo come cibo per il nostro cammino di piccoli, di mendicanti che chiedono la vita corporale e spirituale (A questo riguardo si veda la liturgia ambrosiana di oggi)

3) Come mettere al centro Cristo?
Vivendo ciascuno di noi l’umiltà di Betlemme e della morte in Croce. In effetti, Gesù non vive solo a Betlemme e non solo a Gerusalemme, ma anche nelle case di ciascuno di noi quando umilmente viviamo come Lui ha vissuto in Terra Santa con una umiltà tale da accettare la culla di Betlemme e la "culla" (=la Croce) di Gerusalemme.
Una umiltà che diventa carità. Cristo la Parola di carità vera che umilmente si è fatto carne ci chiede di metterci in ginocchio davanti a Lui, presente nell’Ostia consacrata, umiliandoci per amore servendo il prossimo per rendere gloria a Dio. “Riconoscimento della propria miseria che si apre alla ricca Presenza di un Altro e lo riconosce e ne gode, cioè diventa amore” (Luigi Giussani).
Mi piace infine ricordare la vocazione di umiltà come è vissuta nell’Ordo Virginum, in cui l’umiltà verginale diventa missione nella vita di ogni giorno, al lavoro come in casa. La maternità spirituale a cui queste donne sono chiamate si identifica con l’umile ed obbediente assunzione della maternità della Chiesa.
Il Rito dell’Ordo Virginum indica bene che la donna, che si consacra in questa strada, è invitata ad un’obbedienza che nasce dalla fede, ad una speranza che nasce dalla vita vissuta poveramente, ad un permanere nell’umiltà. Mediante tale permanere queste consacrate sono chiamate a testimoniare come l’umiltà verginale diventa missione nella vita di ogni giorno, al lavoro come nella preghiera nascosta nella casa dove vivono con semplicità.
Questo ideale deve essere l’ideale pregato, domandato, richiesto, mendicato ogni giorno non solo da chi ha fatto i voti religiosi, ma da tutti i fedeli laici.
Infatti anche chi vive una vita “secolare” in famiglia può e deve avere come regola la familiarità con la presenza di Cristo. Presenza che costituì la regola di vita della Santa Famiglia e, quindi, può e deve essere la regola di ogni famiglia cristiana. Non dimentichiamo che la Famiglia di Nazareth era composta da un falegname, una casalinga ed un bambino, segno che sin dall’inizio il cristianesimo è umiltà e dolcezza.

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