XXIII Domenica del Tempo ordinario – anno B – 8 settembre 2024
Rito Romano
Is 35,4-7a; Sal 145; Gc 2,1-5; Mc 7,31-37
Rito Ambrosiano
Is 63,7-17; Sal 79; Eb 3,1-6; Gv 5,37-47
Ii Domenica dopo il Martirio di San Giovanni, il Precursore
1) Effatà = apriti.
Nel Vangelo di questa domenica, San Marco ci racconta di un miracolo fatto da Gesù mentre compie il suo lavoro di evangelizzazione nella regione pagana di Tiro. Il percorso descritto dall’Evangelista è molto significativo. Con una lunga deviazione Gesù cammina per una strada, che congiunge città e territori estranei alla tradizione religiosa di Israele. Il Messia percorre le frontiere della Galilea, alla ricerca di quella parte comune ad ogni uomo che viene prima di ogni frontiera, di ogni divisione politica, culturale, religiosa, razziale.
Operare in quella terra il miracolo significa l’apertura universale del Vangelo: ogni uomo e ogni donna, ovunque essi abitino e a qualunque cultura appartengano, possono essere raggiunti dalla Parola di Dio e toccati dalla Sua misericordia.
In verità con il miracolo di oggi con cui Cristo guarisce un sordomuto abbiamo già avuto a che fare già nel giorno del battesimo, quando il sacerdote ha fatto su di noi esattamente quello che Gesù compì sul sordomuto.
Al centro del brano del Vangelo di oggi c'è una piccola parola che riassume tutto il messaggio e tutta l’opera di Cristo. San Marco la riporta nella lingua stessa in cui Gesù la pronunciò: “Effatà”, che significa: “Apriti”. C'è una chiusura interiore, che riguarda il nucleo profondo della persona, quello che la Bibbia chiama il “cuore”. E’ questo che Gesù è venuto ad “aprire”, a liberare, per renderci capaci di vivere pienamente la relazione con Dio e con gli altri. Ecco perché questa piccola parola, “Effatà – Apriti”, riassume in sé tutta la missione di Cristo. Egli si è fatto uomo perché l’uomo, reso interiormente sordo e muto dal peccato, diventi capace di ascoltare la voce di Dio, la voce dell’Amore che parla al suo cuore, e così impari a parlare a sua volta il linguaggio dell'amore, a comunicare con Dio e con gli altri. Per questo motivo la parola e il gesto dell'”effatà” sono stati inseriti nel Rito del Battesimo, come uno dei segni che ne spiegano il significato.
Toccandoci la bocca e le orecchie durante il rito del battesimo, il sacerdote ci ha detto: “Il Signore ti conceda di ascoltare presto la sua Parola e di professare la tua fede”. In questo rito dell’ “Effatà”, il sacerdote prego su di noi bambini perché potessimo presto ascoltare la Parola di Dio e professare la fede.
Fin dall’inizio della nostra vita - quando non era ancora possibile comprendere le parole -ci è stato detto che l’ascolto della Parola è la nostra salvezza. Non è importante che la capiamo tutta e subito. I neonati non capiranno il significato intellettuale delle parole, ma sentono l’amore, da cui esse vengono, tant’è vero che rispondono con un sorriso alla mamma ed al papa che si rivolgono a loro con affetto grande e stupito.
Diventando grandi, abbiamo capito anche con l’intelligenza quelle parole che il cuore aveva da sempre percepito ed accolto. La prima lezione da trarre da ciò è che la sordità peggiore è quella del cuore. Se siamo sordi, non riusciamo a parlare: se siamo sordi all’amore che il Figlio di Dio ci ha mostrato, non riusciamo a comunicare correttamente né con Dio né con i fratelli e sorelle in umanità che Lui ci ha donato. “Che vita è la vostra, se non avete vita in comune e non c’è vita in comune se non nella lode a Dio” (T.S. Eliot, I cori della Rocca).
Dunque con la preghiera costante e frequente chiediamo al Signore che ridica anche oggi a ciascuno di noi: “Effatà- Apriti”, perché le nostre menti e i nostri cuori siano aperti alla sua Parola di Verità e Vita per ben camminare sulla Via.
2) Si diventa quello che si ama (cfr. Sant’Agostino).
Il significato spirituale del Vangelo di oggi è che Gesù guarisce il mutismo della bocca del cuore che è causato dalle orecchie sorde alla Verità, all’amore infinito di Dio.
S. Agostino scriveva: “Ciascuno è ciò che ama. Ami la terra? Sarai terra. Ami Dio? Che cosa devo dire? Che tu sarai Dio? Io non oso dirlo per conto mio. Ascoltiamo piuttosto le Scritture: Io ho detto: ‘voi siete dei, e figli tutti dell’Altissimo’. Se, dunque, volete essere degli dei e figli dell'Altissimo, non amate il mondo, né le cose che sono nel mondo”. Dunque aprimo il cuore a Dio, il cui amore rompe il muro del nostro egocentrismo che ci impedisce di ascoltarLo. Chiediamo a Cristo, il cui dito che ha scritto sulla sabbia il cumulo di peccati della peccatrice perché il vento se li portasse via, di toccarci con la sua misericordia, che cancella inganni e peccati dalle nostre orecchie e della nostra bocca.
L’amore del suo cuore trafitto trafigga la corazza d’orgoglio che ci fa sordi al suo amore. E la sua saliva, che reca impresse le parole della sua stessa bocca, sciolga la nostra lingua perché canti il suo amore “eccessivo” per noi.
Faticoso e lento il cammino verso Cristo. Come il sordomuto del vangelo di oggi lasciamoci condurre da Lui. Immedesimiamoci in questo miracolato e chiediamo a Gesù di aprire le orecchie del cuore e della mente alle sue parole di verità e di amore.
Accogliendo la parola di Cristo: “Effatà – apriti” acquisteremo la capacità di ascoltare ed ascoltare la verità, la parola vera, quella che ci mette in cammino verso l'eternità, facendo risuonare nelle nostre parola la Parola.
Solamente ascoltando la Parola diventiamo capaci di parola, di risposta.
Questo implica andare oltre allo “Shemà” (ascolta) di Israele ed essere il nuovo Israele che ha inizio dall’ascolto della Vergine Maria, che risponde sì (=fiat) al suo Creatore. Grazie a questo “sì” il Verbo, la Parola si è fatta carna e ci ha messo sulla bocca la preghiera cristiana per eccellenza: il Padre nostro.
Al n° 85 dell’enciclica Laudato si’ Papa Francesco, riportando le parole di Giovanni Paolo II, scrive: “la ‘contemplazione’ del creato è paragonata all’ascoltare... una voce paradossale e silenziosa, che si aggiunge alla Rivelazione delle Sacre Scritture, per cui prestando attenzione l'essere umano impara a riconoscere se stesso in relazione alle altre creature. E mi domando (è sempre Papa Francesco che scrive): Se Gesù ‘Ha fatto bene ogni cosa’ (Mc 7,37), e Gesù è il Signore, il Dio che ha creato e fatto buona e bella ogni cosa, quando l’uomo ascolta il suo Signore e gli risponde può far tornare bella la creazione come Dio l’aveva pensata sin dal principio?”.
Ho fatto questa citazione per sottolineare che la preghiera di risposta a Dio che ci parla, implica non solamente quello che Dio dice attraverso la parole della bibbia. Lui “ha scritto” anche il libro della natura ed anche questo libro va letto e rispettato.
3) Le vergini consacrate: donne dell’ascolto e madri della Parola.
Nella vita quotidiana c’è spesso l’abitudine di dire tante parole, e di sostituire la Parola con le chiacchere. L’atteggiamento e la “virtù” dell'ascolto sono poco praticati. Imitando in modo speciale la Madonna, Vergine dell’ascolto e Madre della Parola, le vergini consacrate conducono una vita che le rende donne dell’ascolto e madri della Parola. Sulla tipicità della loro preghiera, l’istruzione Ecclesia Sponsae Imago ai nn. 29 e 30 insegna: “La preghiera è per le consacrate una esigenza di amore per «rimirare la bellezza di Colui che le ama», e di comunione con l’Amato e con il mondo in cui sono radicate.
Per questo amano il silenzio contemplativo, che crea le condizioni favorevoli per ascoltare la Parola di Dio e conversare con lo Sposo cuore a cuore. Desiderose di approfondire la conoscenza di Lui e il dialogo della preghiera, acquisiscono familiarità con la rivelazione biblica, soprattutto attraverso la lectio divina e lo studio approfondito delle Scritture.
Riconoscono nella liturgia il luogo sorgivo della vita teologale, della comunione e della missione ecclesiale, e lasciano che la loro spiritualità prenda forma a partire dalla celebrazione dei Sacramenti e della Liturgia delle Ore in obbedienza al ritmo proprio dell’anno liturgico, in modo che trovino unità e orientamento anche le altre pratiche di preghiera, il cammino di ascesi e l’intera loro esistenza”.
Lettura patristica
San Beda, il Venerabile (673 circa – 735)
In Evang. Marc., 2, 7, 32-37
E gli conducono un sordomuto e lo pregano di imporre su di lui la mano (Mc 7,32).
Il sordomuto è colui che non apre le orecchie per ascoltare la parola di Dio, né apre la bocca per pronunziarla. È necessario perciò che coloro i quali, per lunga abitudine, hanno già appreso a pronunziare e ascoltare le parole divine, siano loro a presentare al Signore, perché li risani, quelli che non possono farlo per l’umana debolezza; così egli potrà salvarli con la grazia che la sua mano trasmette.
"Ed egli, traendolo in disparte dalla folla, separatamente mise le sue dita nelle orecchie di lui" (Mc 7,33).
Il primo passo verso la salvezza è che l’infermo, guidato dal Signore, sia portato in disparte, lontano dalla folla. E questo avviene quando, illuminando l’anima di lui prostrata dai peccati con la presenza del suo amore, lo distoglie dal consueto modo di vivere e lo avvia a seguire la strada dei suoi comandamenti. Mette le sue dita nelle orecchie quando, per mezzo dei doni dello Spirito Santo, apre le orecchie del cuore a intendere e accogliere le parole della salvezza. Infatti lo stesso Signore testimonia che lo Spirito Santo è il dito di Dio, quando dice ai giudei: "Se io scaccio i demoni col dito di Dio, i vostri figli con che cosa li scacciano?" (Lc 11,19-20). Spiegando queste parole un altro evangelista dice: "Se io scaccio i demoni con lo Spirito di Dio" (Mt 12,28). Gli stessi maghi d’Egitto furono sconfitti da Mosè in virtù di questo dito, dato che riconobbero: "Qui è il dito di Dio" (Ex 8,18-19); infine la legge fu scritta su tavole di pietra (); in quanto, per mezzo del dono dello Spirito Santo, siamo protetti dalle insidie degli uomini e degli spiriti maligni, e veniamo istruiti nella conoscenza della volontà divina. Ebbene, le dita di Dio messe nelle orecchie dell’infermo che doveva essere risanato, sono i doni dello Spirito Santo, che apre i cuori che si erano allontanati dalla via della verità all’apprendimento della scienza della salvezza...
"E levati gli occhi al cielo, emise un gemito e pronunciò: «Effata», cioè «apriti»" (Mc 7,34).
Ha levato gli occhi al cielo per insegnare che dobbiamo prendere da lì la medicina che dà la voce ai muti, l’udito ai sordi e cura tutte le altre infermità. Ha emesso un gemito non perché abbia bisogno di gemere per chiedere qualcosa al Padre colui che in unità col Padre dona ogni cosa a coloro che chiedono, ma per presentarsi a noi come modello di sofferenza quando dobbiamo invocare l’aiuto della divina pietà per i nostri errori oppure per le colpe del nostro prossimo.
"E subito si aprirono le orecchie di lui e subito si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente" (Mc 7,35).
In questa circostanza sono chiaramente distinte le due nature dell’unico e solo Mediatore tra Dio e gli uomini. Infatti, levando gli occhi al cielo per pregare Dio, sospira come un uomo, ma subito guarisce il sordomuto con una sola parola, grazie alla potenza che gli deriva dalla divina maestà. E giustamente si dice che «parlava correttamente» colui al quale il Signore aprì le orecchie e sciolse il nodo della lingua. Parla infatti correttamente, sia confessando Dio, sia predicandolo agli altri, solo colui il cui udito è stato liberato dalla grazia divina in modo che possa ascoltare e attuare i comandamenti celesti, e la cui lingua è stata posta in grado di parlare dal tocco del Signore, che è la Sapienza stessa. Il malato così risanato può giustamente dire col salmista: "Signore, apri le mie labbra, e la mia bocca annunzierà la tua lode" (Ps 50,17), e con Isaia: "Il Signore mi ha dato una lingua da discepolo affinché sappia rianimare chi è stanco con la parola. Ogni mattina mi sveglia l’orecchio, perché ascolti, come fanno i discepoli" (Is 50,4).
"E ordinò loro di non dirlo a nessuno. Ma quanto più così loro ordinava, tanto più essi lo divulgavano e, al colmo dello stupore, dicevano: «Ha fatto tutto bene; ha fatto udire i sordi e parlare i muti»" (Mc 7,36-37).
“Se il Signore, che conosceva le volontà presenti e future degli uomini, sapeva che costoro avrebbero tanto più annunziato i suoi miracoli quanto più egli ordinava loro di non divulgarli, perché mai dava quest’ordine, se non per dimostrare con quanto zelo e con quanto fervore dovrebbero annunziarlo quegli indolenti ai quali ordina di annunziare i suoi prodigi, dato che non potevano tacere coloro cui egli ordinava di non parlare?” (Agostino).
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