venerdì 28 settembre 2012

XXVI Domenica del Tempo Ordinario – Anno B – 30 settembre 2012

Rito Romano
Num 11,25-29;Sal 18;Gc 5,1-6;Mc 9,38-43.45.47-48
La parola di Dio è una Presenza che purifica.

Rito Ambrosiano
V Domenica dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore.
Dt 6,1-9; Sal 118; Rm 13,8-14a; Lc 10,25-37
Beato chi cammina nella legge del Signore.


1) Cristo non è un monopolio da difendere, ma una presenza che tutti possono invocare.
Nella prima lettura, presa dal libro dei Numeri e proposta oggi dal Rito romano, ci viene ricordato che nessuno deve impedire o porre ostacoli all’azione dello Spirito. Il Vangelo di oggi, inoltre, ci insegna che non abbiamo il monopolio di Gesù anche se – mettendo in pratica il brano evangelico di domenica scorsa - abbiamo imparato a mettere al centro Cristo, come lui ha messo al centro i piccoli, i fragili.
Tutto prende spunto dall'intervento di Giovanni, che vorrebbe impedire ad uno di aiutare dei malati invocando su di loro il nome del Signore. E il motivo è che questo tale non fa parte della comunità degli apostoli. Che cosa ha spinto l’Apostolo prediletto a fare quest'intervento? La carità o la gelosia? Forse pensava di avere acquisito dei diritti seguendo Gesù, sacrificandosi per Lui. L’aspetto in ogni caso positivo è che Giovanni si confrontò con Gesù, il Quale gli rispose affermando che Lui è di tutti e che tutti possono invocare il suo nome per fare del bene. Giovanni continua ad imparare dalla Persona del Salvatore nella fede, nel dialogo e nell’amore.
Essere cristiani è vivere della Persona di Gesù Cristo, è esprimere ogni giorno e tutto il giorno il Sacerdozio di Gesù Cristo, il sacerdote universale, è fare discendere sulle anime nostre e degli altri la carità di Gesù” (Maurice Zundel).
Con questa carità il nostro sguardo non solo sarà purificato, ma purificatore, le nostre mani non solo saranno sante, ma santificatrici. Con uno sguardo puro e mani sante manifesteremo l’amore misericordioso di Dio e, attraverso di noi purificati, l’umanità potrà vedere e toccare la Carità del nostro Redentore.

2) Purezza di mente e di cuore per superare gli ostacoli.
Nel vangelo di oggi, Gesù prosegue dicendo che occorre evitare nel modo più rigoroso possibile di essere di scandalo, di ostacolo per nessuno. Ovviamente lo scandalo che ferisce i più piccoli è il più grave. Ma Gesù afferma pure che noi corriamo il rischio di essere di scandalo, di inciampo non solo per gli altri ma anche per noi stessi, usando male del nostro corpo, che è mosso dal nostro cuore e dalla nostra mente erranti per strade che vanno lontano da Dio.
Dunque sono la mente e il cuore da rimettere sul buono, retto cammino, mediante la purificazione.
Come purificarsi? La risposta è semplice: con la preghiera, i sacramenti e la presenza di Dio. Con la preghiera domandiamo perdono, consapevoli che Dio può cancellare, lavare la colpa confessata da un cuore contrito (cfr Sal 50, 2-3). Dice il Padre di misericordia: “Anche se i vostri peccati fossero scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno bianchi come lana” (Is 1,18).
A questo riguardo, cito anche l’insegnamento di due persone grandi e vere.
La purezza viene dal cielo; bisogna chiederla a Dio. Se la chiediamo, l’otterremo. Bisogna stare attenti a non perderla: per questo dobbiamo chiudere il nostro cuore all’orgoglio, alla sensualità e a tutte le altre passioni… così come si chiudono porte e finestre, affinché nessuno entri. Che gioia per l’angelo custode incaricato di guidare un’anima pura! Figli miei, quando un’anima è pura tutto il cielo la guarda con amore… Le anime pure formeranno il cerchi attorno a Nostro Signore. Più si sarà puri sulla terra, più si sarà vicini a Lui in Cielo. Figli miei, non si può comprendere il potere che un’anima pura ha sul buon Dio: lei ottiene tutto ciò che vuole. Un’anima pura è presso Dio come un figlio presso sua madre: lui la accarezza, l’abbraccia, e sua madre gli ricambia le carezze e gli abbracci” (S. Giovanni Maria Vianney, Curato d’Ars)
E’ necessario che noi preghiamo, perché la preghiera ci da’ un cuore puro ed un cuore puro sa amare. Poiché il frutto della preghiera è l’amore e il frutto dell’amore è il servizio; e non è tanto importante quanto noi facciamo ma con quanto amore lo facciamo”. (Beata M. Teresa di Calcutta).
Certo per “fare” con tanto amore ci vuole un’integrità di vita che viene da un’integrità del cuore, purificato dal perdono e ricolmo della presenza di Dio, che riceviamo durante l’Eucaristia, il Sacramento dell’Amore.
La Messa è un mistero d’Amore e deve diventare il principio della nostra vita. Gesù – Eucaristia penetra fino nel profondo dei nostri cuori per mettervi le sue radici e stabilire in noi il suo Regno d’Amore.
Gesù con l’incarnazione è divenuto uno di noi, con l’Eucaristia diviene una cosa sola con noi. Per questo l’Ostia consacrata è anche il fermento di fraternità cristiana e noi tutti, uniti da e in Cristo, siamo un solo pane d’amore.
3) Tagliarsi la mano o strapparsi l’occhio che scandalizzano non solo non è eccessivo, non basta.
Con un linguaggio paradossale, Cristo ci chiede di tagliare la mano, piuttosto che rubare, di toglierci un occhio piuttosto che peccare con esso. Tuttavia ci sono adulteri con un occhio solo e ladri con una mano sola. Dunque, Cristo con questi consigli, che ci paiono eccessivi, non intende tanto mortificare il corpo, quanto indicare l’importanza di purificare la mente ed il cuore.
La vita è un alternarsi di fragilità nostra e di perdono di Dio, l’invito di Cristo è di far diventare la nostra esistenza una storia di purificazione e di sincerità di cuore.
In effetti, questa purificazione non è solo liberazione dal male. Con il perdono non solo siamo liberati dal peccato, ma siamo liberati per Dio-Amore. Siamo rigenerati per un’esistenza nella quale Dio, dopo averci strappato il “cuore di pietra” (=cuore gelido e insensibile), ci dona un “cuore di carne” cioè sorgente di vita e di amore (cfr Is 36,26), ci regala un cuore puro, dilatato dall’intelligenza della carità.
Con questo dono, noi, comunità dal “cuore di carne”, sperimenteremo la presenza viva ed operante di Dio: “Chi osserva i suoi comandamenti – dice l’apostolo Giovanni – dimora in Dio e Dio in lui” (1 Gv 3, 24), e, come ci ricorda la liturgia ambrosiana di oggi, saremo lieti di camminare nella legge del Signore, che è legge di libertà. Non libertà di seguire le nostre cieche passioni, ma libertà di amare, di scegliere ciò che è bene in ogni situazione, anche quando farlo è un peso (cfr Giovanni Paolo II, Discorso al Monastero di Santa Caterina, 26 febbraio 2000).
Saremo in grado anche di essere testimoni semplici ma veri, mantenendo la promessa che si fa durante la preghiera delle Lodi di ogni venerdì mattina, quando recitiamo il Miserere. Infatti quando arriviamo al versetto 15 di questo Salmo di contrizione, promettiamo di “insegnare agli erranti le vie” del bene (Sal 50,15), perché tutti possano, come il figlio prodigo tornare alla Casa del Padre.
E’ consolante tornare dal Padre, che accoglie noi mendicanti, Lui che è Mendicante del nostro amore. E’ stupefacente esperimentare nel perdono che il Padre non solamente ci aspettava quando noi erravamo lontano da Lui, ma ci viene incontro e ci abbraccia quando ritorniamo a Lui. L’importante è tornare a casa del Padre e casa nostra pentiti e non da soli, ma con tanti fratelli e sorelle in umanità e divinità.

venerdì 21 settembre 2012

XXV Domenica del Tempo Ordinario – Anno B – 23 settembre 2012

Rito Romano
Sap 2,12.17-20;Sal 53;Gc 3,16-4,3;Mc 9,30-37
La Croce a servizio dei piccoli

Rito Ambrosiano
IV Domenica dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore
1Re 19,4-8; Sal 33; 1Cor 11,23-26; Gv 6,41-51
Il pane del Cielo sostiene i piccoli in cammino per servire.

1) Un dia-logo (parola che va verso l’altro) esigente fra amici.
Per i suoi discepoli e quindi per noi, Gesù non è solamente un maestro, è anche un amico. E come amico -nel Vangelo di oggi- il Salvatore si confida alla sua comunità. In primo luogo rinnova l’annuncio della sua Passione e l’invito a percorrere il suo stesso cammino verso la Croce. In secondo luogo dice ai suoi amici che la modalità concreta per rispondere a questo invito è quella di farsi servitori dell’uomo, soprattutto dei piccoli da accogliere perché per Dio sono più importanti dei “grandi” uomini.
I discepoli allora e noi oggi abbiamo difficoltà a capire queste parole dell’Amico: «Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». 
 
Farsi servo e accogliere i piccoli nel suo nome – i due comportamenti che Gesù suggerisce alla sua comunità – sono due modi concreti, due esempi di imitazione del Signore Crocifisso; due modi concreti per convertire la mente ed il cuore dei discepoli, che non capiscono queste parole dell’Amico, perché il loro cuore e la loro mente sono lontani dal cuore e dalla mente del Maestro.
Come avvicinare il nostro cuore e la nostra mente al cuore e alla mente di Cristo?
Continuando il dialogo che Lui ha iniziato con noi e che raggiunse il suo vertice sulla Croce. Il Figlio di Dio dona la sua vita per l’uomo, per ristabilire il dialogo tra Lui e l’uomo. “Ciò prova che il desiderio di Dio era ed è di fare l’uomo un essere di dialogo, un essere uguale a lui. Per questo Dio sceglie gesti indelebili: sulla Croce Dio dona da uomo tutta la sua vita di Dio” (Maurice Zundel)
Il gesto di mettere i piccoli al centro della comunità, come anche quello del Figlio di Dio che lava i piedi dell’uomo, sono un annuncio del gesto finale sulla Croce, per insegnare all’uomo che può raggiungere la sua vera grandezza solamente nello spossessamento di sé, cioè nel dono di sé all’altro e all’Altro.
Il dialogo con Cristo non è un discorso su Dio, è un “vissuto” nell’amore. Il Verbo di Dio non è un suono che percuote l’aria, è una Presenza che è e dà la vita vera e duratura: eterna.

2) Chi mettere al centro?
Nell’episodio evangelico di oggi Gesù mette al centro un bambino. Dio Padre mette al centro del cosmo e della storia Cristo, il suo sì all’uomo, noi dobbiamo fare altrettanto.
Per mettere veramente Cristo al centro della nostra vita personale e comunitaria, occorre mettere al centro il bambino Gesù e accompagnarlo dalla culla di Betlemme alla “culla” del Calvario.
Se non diventeremo come il Bambino Gesù, non entreremo nel Regno dei Cieli, se non diventeremo come il “piccolo” uomo messo in Croce, non avremo parte al suo Regno.
Se saremo come bambini, rimarremo sorpresi di un Dio che si fa bambino, di un Dio che, in Cristo, vede e si fa vedere, sente e si fa sentire, tocca e si fa toccare; che si abbassa alla condizione umana e si serve dei sensi per farci capire la chiamata all’intimità del suo amore, alla santità.
Lo stupore di fronte all’Incarnazione del Verbo spinge a contemplare con venerazione le azioni, i gesti e le parole di Gesù. Quando lo si fa, si scopre che nella vita di Cristo tutto, dalla nascita fino alla morte in Croce, è impregnato di umiltà, perché “pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e morte di croce” (Fil 2, 6-8).
Secondo me anche il buon ladrone sulla croce è stato sorpreso da quel “piccolo” uomo che era in croce accanto a lui ma che non subiva la Croce, non scendeva da essa e la trasformava in uno strumento di salvezza, di speranza. Per quel criminale fu ovvio allora rivolgersi a Cristo, dicendo: “Signore, ricordati di me nel tuo regno!”. Che un crocifisso faccia ad un altro Crocifisso una richiesta del genere e ne riceva questa risposta: “Oggi sarai con me in Paradiso”, è una prova stupefacente e sublime dell’efficacia dell’umiltà divina.
Se Gesù fosse oggi nella nostra comunità familiare, parrocchiale, monastica, associativa, chi metterebbe al centro? Un bambino, un piccolo, un povero, risponderemmo noi.
No, metterebbe se stesso, o meglio il suo Corpo Eucaristico, chiedendoci di adorarlo e di prenderlo come cibo per il nostro cammino di piccoli, di mendicanti che chiedono la vita corporale e spirituale (A questo riguardo si veda la liturgia ambrosiana di oggi)

3) Come mettere al centro Cristo?
Vivendo ciascuno di noi l’umiltà di Betlemme e della morte in Croce. In effetti, Gesù non vive solo a Betlemme e non solo a Gerusalemme, ma anche nelle case di ciascuno di noi quando umilmente viviamo come Lui ha vissuto in Terra Santa con una umiltà tale da accettare la culla di Betlemme e la "culla" (=la Croce) di Gerusalemme.
Una umiltà che diventa carità. Cristo la Parola di carità vera che umilmente si è fatto carne ci chiede di metterci in ginocchio davanti a Lui, presente nell’Ostia consacrata, umiliandoci per amore servendo il prossimo per rendere gloria a Dio. “Riconoscimento della propria miseria che si apre alla ricca Presenza di un Altro e lo riconosce e ne gode, cioè diventa amore” (Luigi Giussani).
Mi piace infine ricordare la vocazione di umiltà come è vissuta nell’Ordo Virginum, in cui l’umiltà verginale diventa missione nella vita di ogni giorno, al lavoro come in casa. La maternità spirituale a cui queste donne sono chiamate si identifica con l’umile ed obbediente assunzione della maternità della Chiesa.
Il Rito dell’Ordo Virginum indica bene che la donna, che si consacra in questa strada, è invitata ad un’obbedienza che nasce dalla fede, ad una speranza che nasce dalla vita vissuta poveramente, ad un permanere nell’umiltà. Mediante tale permanere queste consacrate sono chiamate a testimoniare come l’umiltà verginale diventa missione nella vita di ogni giorno, al lavoro come nella preghiera nascosta nella casa dove vivono con semplicità.
Questo ideale deve essere l’ideale pregato, domandato, richiesto, mendicato ogni giorno non solo da chi ha fatto i voti religiosi, ma da tutti i fedeli laici.
Infatti anche chi vive una vita “secolare” in famiglia può e deve avere come regola la familiarità con la presenza di Cristo. Presenza che costituì la regola di vita della Santa Famiglia e, quindi, può e deve essere la regola di ogni famiglia cristiana. Non dimentichiamo che la Famiglia di Nazareth era composta da un falegname, una casalinga ed un bambino, segno che sin dall’inizio il cristianesimo è umiltà e dolcezza.

sabato 15 settembre 2012

XXIV Domenica del Tempo Ordinario – Anno B – 16 settembre 2012


Rito Romano
Is 50,5-9a;Sal 114;Giac 2,14-18;Mc 8,27-35
“Tu sei il Cristo … Il Figlio dell’Uomo deve soffrire”

Rito Ambrosiano
III Domenica dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore
Is 32,15-20; Sal 50; Rm 5,5b-11; Gv 3,1-13
“Manda il tuo Spirito, Signore, e rinnova la faccia della terra”


            1) Secondo me o secondo verità?
            Oggi come poco meno di duemila anni fa, Gesù chiede ai suoi discepoli: «Chi dicono che io sia?» (Mc 8,27).
            Con questa domanda, Cristo non vuole fare un sondaggio d’opinione, intende aiutare a rispondere non “secondo me”, ma “secondo verità”.
            Alla domanda di che cosa la gente pensi di lui, i discepoli rispondono: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti». Questa risposta mette in evidenza che i più non hanno colto la novità che Gesù è.
            Il Redentore allora si rivolge ai discepoli: «E voi, chi dite che io sia?», Pietro Gli risponde secondo verità e dice: «Tu sei il Cristo», ma  Gesù sente il bisogno di precisare: «Sono il Figlio dell'uomo che deve molto soffrire».
            Perché il Cristo fa questa precisazione? Perché per mostrare che «Dio è Amore» (1 Gv 4,16), il Figlio di Dio deve soffrire e morire crocifisso?
            Ai tempi della vita “terrena” di Cristo la croce era il supplizio infame per eccellenza. Era la condanna dello schiavo. Neppure l'animale era trattato così.
            Perché Dio ha scelto per il suo Figlio e per noi questa via? Perché il Cristianesimo è il rovesciamento di tutti i valori, così come l'uomo li sente, così come l'uomo li vive? Perché invece della gioia il dolore, invece della grandezza l'umiltà, invece della forza la debolezza, invece del trionfo l'infamia e la morte. Perché seguire Cristo sulla Croce se Lui stesso prima di iniziare la sua Passione ha pregato il Padre: «Padre,se è possibile allontana da me questo calice»? Che cosa dunque c'è di strano se anche San Pietro circa duemila anni fa e noi oggi proviamo una reazione immediata di ripugnanza e di rifiuto nei confronti della Croce e della sofferenza, sia che questa colpisca il fisico, sia che opprima l'anima?
            Fortunatamente a tutte queste domande ci sono le risposte, che possiamo capire se, prima di tutto, stampiamo i nostri occhi sul Crocifisso e in lui –trafitto- contempliamo l’Amore che offre la vita per noi.
            L’importante è non scappare dal Calvario e stare  sotto la Croce come la Madonna e Giovanni. Così potremo imparare la sapienza della Croce e cogliere la grandezza e l’efficacia della carità di Crocifisso che in Croce ha ucciso la morte ed ha fatto trionfare la vita con l’amore che si dona. La morte di Cristo è vita in noi e il suo amore riempie della sua pienezza il nostro cuore che è reso sorgente di pace perché capace di amare persino i nemici e: «Non ci sono più nemici se li amiamo» (Giovanni Papini).
            «La croce non è fine a se stessa. Essa si staglia in alto e fa richiamo verso l'alto. Quindi non è soltanto un'insegna, è anche l'arma potente di Cristo, la verga da pastore con cui il divino Davide esce incontro all'infernale Golia, il simbolo trionfale con cui Egli batte alla porta del cielo e la spalanca. Allora ne erompono i fiotti della luce divina, sommergendo tutti quelli che marciano al seguito del Crocifisso» (Andrea da Creta).
           
            2) Secondo la verità vuol dire secondo la libertà!
            La Croce, dunque, non è una fatalità e abbracciarla è libertà e pace senza misura. Non si sale il Calvario perché si obbligati dal destino,  ma perché sulla cima di quel monte c’è Cristo in Croce che ci aspetta e ci mostra non solo com’è  l’amore secondo verità, ma come grande è la libertà di un amore che fa dire al Signore Crocifisso: “Perdonali, Padre, perché non sanno quello che fanno”, “Ecco tua Madre…Ecco tuo figlio”. Insomma l’amore di Dio è misericordia, verità e libertà, pace e dolcezza.
            Solo il Crocifisso è capace di essere il vero buon Pastore che mette Giuda sulle sue spalle, come si vede in un capitello della Basilica di Vezelay, bellissima Chiesa francese, dedicata alla Misericordia come Santa Maddalena l’ha sperimentata e vissuta.
            La Croce è il segno massimo del perdono. La Croce non è la fine triste di un’avventura carica di promesse non mantenute, è la chiave che apre alla Vita per sempre.
            La Croce di Cristo è un libro da studiare come ha fatto san Francesco d’Assisi. Si legge nelle Fonti Francescane che questo grande santo “sfogliava e risfogliava, di giorno e di notte, il libro della Croce” (FF). Con Cristo la Parola non è più una parte di un discorso ma una Presenza, una concreta Parola d’amore concreto, che fa vivere ora e sempre, che libera ora e per sempre.           
            Dall’inizio alla fine della sua vita, dall’incontro col Crocifisso di San Damiano all’impressione delle Stimmate sulla Verna, il Cristo in Croce sta davanti agli occhi di san Francesco come l’Amore di Dio che si è lasciato inchiodare sulla croce per la nostra salvezza.
            E’ questo amore che Francesco volle accogliere, conformandosi ad esso, divenendo simile a Cristo anche fisicamente e irraggiando gioia: la letizia francescana.
            La Croce è stata per San Francesco la chiave per comprendere le Scritture, per capire appieno la Parola di Dio. E’ stata precisamente questa chiave, la Passione di Dio per l’uomo, a rendere il piccolo Francesco un grande sapiente, un vero «esegeta della Parola di Dio», del Verbo Crocifisso.
            San Francesco non temeva la Croce, ma l’inutilità della vita. Lui capì pienamente che la Croce è ciò che dà senso al vivere, è ciò che permette di vivere con gioia, mano nella mano con Dio, Padre provvidente.
            La Croce è il segno evidente che Dio non è un despota ma un amore che si dona. Cristo, il Redentore dell’uomo e del mondo, si mette in ginocchio davanti all’uomo per lavargli i piedi, prende la croce per lavarlo totalmente, con l’acqua ed il sangue sgorgati dal suo cuore aperto da una lancia.

            3) La Verità “utile”.
            Chi e che cosa garantisce che il Crocifisso sia la verità e che sia una verità “utile”? Come può un morto in Croce essere la Verità buona per la salvezza?
            Ogni essere umano desidera la luce, la vita, l’amore vero. Cristo tramite la Croce dimostra di essere tutto ciò, perché con la Croce Lui ha aperto la strada del ritorno.
            Non solo perché l’uomo può camminare verso di lui, ma perché è Dio che con la Croce conferma il suo cammino verso di noi e con noi: la Croce è la “via”, su cui Cristo raggiunse e raggiunge l’uomo .
            La vita cristiana più che essere un cammino verso Dio è un cammino di Dio che discende  verso l’uomo. Lui è disceso tra di noi e noi possiamo incontrarlo, e accoglierlo. Non dobbiamo capire solo in modo teorico, intellettualoide il ruolo della Croce nella vita Sua e nostra.
            Mi spiego con un episodio che mi è successo quando ero viceparroco a Casirate d’Adda, piccola parrocchia della diocesi di Cremona.
            Eravamo nel periodo di Natale. Anche a scuola i bambini delle elementari avevano fatto un presepe. Un giorno in cui ero andato per fare la lezione settimanale di religione, alcuni di loro mi chiamarono per dirmi: “Venga a vedere il nostro presepe”. Andai nel grande corridoio della scuola, raggiunsi l’angolo (era una superficie di 8-10 mq) dove il presepio era stato messo. Era una presepe ben costruito ma semplice perché fatto da bambini di 9-10 anni: c’era Gesù bambino, Maria e Giuseppe, i pastori, i Re Magi. Un presepe come tanti. Fui però stupito quando vidi che la volta della grotta era attraversata da una croce, la quale nella sua parte finale diventava la culla dove era stato deposto Gesù bambino.
            Stupito, domandai ai bambini che con le maestre mi circondavano: “Perché avete messo Gesù bambino sulla Croce?”. Un piccolo scolaro mi rispose subito: “Ce l’ha detto Lei. La Croce è lo scivolo con il quale Gesù è disceso dal Cielo”. Fui toccato profondamente, perché i bambini avevano capito la spiegazione che avevo fatto loro alcuni giorni prima di Natale, dicendo che Gesù  era l’unica persona al mondo che era nata per morire, per morire per noi, e che ci salvava non nonostante la Croce, ma attraverso la Croce, la cui parte terminale fu trasformata dai bambini di Casirate nella culla di Gesù bambino.
            Quei bambini non solo avevano capito bene il mio insegnamento, ma lo avevano completato e migliorato.
            Non ci resta che ritornare bambini, che ascoltano senza pregiudizi, che guardano a Cristo con semplicità e stupore e prendono sul serio Cristo.
           Con lo stupore dei bambini chiediamo, come suggerisce la liturgia ambrosiana di oggi, “Manda il tuo Spirito, Signore, e rinnova la faccia della terra. E Cristo ci donò questo Spirito, spirando  in Croce, che non è una sconfitta, ma la radice della Risurrezione, di una vita nuova, vera: spirituale.

venerdì 7 settembre 2012

XXIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno B – 9 settembre 2012

Rito Romano
Is. 35, 4-7a; Gc. 2, 1-5; Mc 7, 31-37
Miracolo del sordomuto.

Rito Ambrosiano
Domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore
Is 63,7-17; Sal 79; Eb 3,1-6; Gv 5,37-47
 Fa’ splendere il tuo volto, Signore, e noi saremo salvi.



            1) I fatti parlano.
            Nel Vangelo di oggi ci viene proposto un fatto miracoloso così eloquente che la folla presente al miracolo reagisce con immenso stupore.
            Una meraviglia che nasce da questo episodio particolare: un sordomuto guarito, ma che si fonda sullo stupore suscitato dall’intera attività di insegnamento e di miracoli di Cristo. E’ per tutto ciò che la gente esclama: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti». In queste parole riecheggiano quelle del profeta Isaia (35,3-6) (la prima lettura della messa di oggi): «Dite agli scoraggiati: coraggio, non abbiate paura, ecco il vostro Dio, Egli viene a salvarvi; si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi, lo zoppo salterà come un cervo e la lingua di muto griderà di gioia».
            Dunque la folla scorge nel miracolo anche il segno che le profezie riguardo al Messia si sono compiute. Gesù è il salvatore atteso. Ma le parole della folla alludono pure al racconto della creazione (cfr Gn 1,31): «Iddio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono». Il miracolo compiuto da Gesù è il segno che sta iniziando una nuova creazione e che l’uomo guarito, rinnovato può di nuovo ascoltare Dio e parlargli. Il Vangelo anche in questo caso ci rivela il cuore di Dio e ci introduce nella sua amicizia.


            2) Guardare per parlare.
            Il racconto della creazione, che si legge nella Genesi, dice che Dio con le sue “mani” creatrici fece l’uomo plasmandolo con dell’argilla e alitando in lui lo spirito. Nel racconto evangelico di oggi ci viene mostrato che Gesù Cristo con le sue “mani” redentrici prende il capo del malato e lo riplasma, donando la vera libertà a quest’uomo prigioniero del silenzio.
            Il brano evangelico di oggi non ci offre semplicemente la cronaca di una guarigione sorprendente. Questo miracolo ci insegna che Gesù in ogni persona, che lo segue, opera il prodigio di sciogliere il groviglio non solo della lingua e dell’udito, ma del cuore e della mente, cosi che l’umanità può uscire dalla prigionia del silenzio, dalla reclusione di una vita chiusa su se stessa, accartocciata come la lingua e le orecchie tappate di un sordomuto.
             Tuttavia non vanno dimenticati i due antefatti di questo fatto miracoloso. Il primo è che dei parenti o amici conducono questo malato da Cristo. Vale a dire la carità o, almeno, la solidarietà umana porta il “materiale” su cui la carità divina può operare. Il secondo è che Gesù porta il sordomuto in disparte e i due dialogano solamente con lo sguardo. Lo sguardo dell’uomo esprime una supplica, quello dell’Uomo-Dio esprime la risposta, che non può essere fraintesa perché è accompagnata dal calore delle mani sante che toccano il viso dell’uomo, con una carezza alle orecchie e alla lingua.
            Ed ecco il fatto prodigioso, Gesù (=Dio salva) pronuncia la parola di redenzione: «Effata», «Apriti», che è finalmente compresa, udita dall’uomo. L’uomo, avendo contemplato la Parola, ne è sanato. Lui può di nuovo dire di sì alla Parola, che lo apre al Creatore ed alle creature. La vita intera è di nuovo percepita nella sua armonia, nella sua sinfonia di gioia, che nasce dall’incontro con la Parola contemplata, udita e condivisa.


            3) Tutti siamo dei sordomuti guariti.
            Il giorno del nostro battesimo, siamo stati portati in Chiesa e Cristo, mediante il prete, ci ha battezzati e messo il dito sulle nostre orecchie e sulle nostre labbra per guarirci, avendoci rigenerati e purificati con l’acqua.
            Da sempre la Chiesa vede nei fatti narrati nel Vangelo di oggi l'immagine del sacramento del Battesimo, che ridona la vita a chi ha perso perfino la percezione di ogni valore. In effetti, il rituale vuole che il sacerdote ripeta nella cerimonia del battesimo quello che Cristo fece nella guarigione del sordomuto: il sacerdote fa un segno di croce sulle labbra e le orecchie del battezzando e dice: "Effata!" (="Apriti!") come lo disse più di duemila anni fa a quel malato impossibilitato a udire ed a parlare.
            Nel Battesimo l'uomo riceve l'udito e la parola dello Spirito, poiché, senza questo sacramento, non può parlare nella preghiera e non può nemmeno ascoltare la divina parola. E’ lo Spirito Santo che passa attraverso quell’“Effata”, allora come oggi.
            La sordità ed il mutismo spirituali sono ben più gravi di quelli materiali. Da queste “malattie spirituali” ci libera il Signore toccandoci («gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua») mediante i santi sacramenti della Chiesa offrendo se stesso, donando se stesso completamente.

4) La vita eterna è già cominciata.
In effetti «la prima cosa dunque che dobbiamo cercare di comprendere è questo magnifico dono che Dio ci ha fatto di se stesso. Se Dio è in noi, e noi siamo in lui, siamo già in Paradiso. Importa poco che siamo nella luce o nelle tenebre, non cambia nulla essenzialmente. Siamo gli stessi sia che viviamo nella fede e sia che viviamo nella visione, perché Dio è con noi e noi siamo con lui» (Divo Barsotti).
Al centro del Vangelo di oggi si profila il messaggio di un Dio che è tutto amore, di una creazione dell’uomo redento che non è il risultato di un atto di magia, ma di una storia di amore tra Dio e l’uomo.
         Il problema della nostra risposta non sta solamente nella coerenza morale, ma nel testimoniare che Cristo è grazia inevitabile, che però non si impone con la forza, si propone con delicatezza. Il Redentore arriva a noi con un tocco di tenerezza che non ferisce né le orecchie, né le labbra, né il cuore: molto semplicemente compie un miracolo, con una carezza.
            A noi non resta che metterci – con il corpo e con il cuore- in ginocchio davanti a Cristo, con la stessa umiltà di Giovanni il Precursore, che non si riteneva degno di legargli neppure i calzari, ma che accettò il martirio violento per testimoniare che l’Amore fa miracoli senza violenza.           Pensavano di uccidere Amore e iniziarono con il decapitarne il testimone, ma l’Amore, che aveva scelto il martirio in croce, ha crocifisso la violenza e, da allora in poi fa splendere su di noi la luce amorosa del suo Volto, salvandoci (cfr antifona ambrosiana di oggi).
            Niente è impossibile al Dio-Amore neppure l’amore per i nemici. Amare i nemici non significa lasciarsi schiacciare e incoraggiare la violenza. Chi prende il Vangelo sul serio non è meno combattivo degli altri. Lo è in modo diverso. Il martire non dimentica che l’altro, per odioso e violento che sia, è costato il sangue di Cristo, martire dell’Amore, che con la sua morte fa sì che le mie, le nostre labbra -non più mute- possano dire Lui, Parola d’amore.