giovedì 30 maggio 2013

Convertire la vita in offerta, perché l’offerta si trasformi in vita.

Festa del Corpo e Sangue di Cristo – Anno C - 2 giugno 2013

Rito romano
Gn 14, 18-20; Sal 109; 1 Cor 11, 23-26; Lc 9, 11-17

Rito ambrosiano
II Domenica di Pentecoste
Sir 18,1-12; Sal 135; Rm 8,18-25; Mt 6,25-33

1)L’offerta è trasformata in vita.
Mi si permetta di parlare di due Natali di Cristo. Nel primo, a Betlemme (che vuol dire Casa del Pane) Gesù nacque alla vita terrena, fu avvolto in fasce e fu messo in una mangiatoia, come per indicare che anche lui sarà mangiato. Nel secondo Natale, a Gerusalemme (che vuol dire Città di Pace), Gesù con il sacrificio della Croce nacque alla vita celeste. Il suo Corpo nudo fu “totalmente rivestito di Spirito Santo” (S. Giovanni Crisostomo, Omelia VI, PG 46, 753) e donato come pane di vita eterna per tutti. Il Cenacolo con il primo, santo convito e la Croce con il divino sacrifico sono offerti come luogo di misericordia per trovare grazia, perdono e aiuto.
Nell’anno C, le letture della Messa della Festa del Corpo e Sangue del Signore mettono in evidenza il dono, l’offerta. 

Infatti, nel brano della Genesi (prima lettura) ci propone il re di pace, Melchisedek, che non fa cose strampalate o appariscenti, ma che offre semplicemente pane e vino, con una benedizione (rendimento di grazie, lode).
 San
Paolo, nella seconda lettura presa dalla sua prima lettera ai Corinti, trasmette ciò che a sua volta ha ricevuto in dono. L’Evangelista San Luca nel presentare la moltiplicazione dei pani (cfr terza lettura) mette sulla bocca di Gesù le seguenti parole: “Date voi stessi da mangiare”. I discepoli risposero “non abbiamo che cinque pani...”, poi obbedendo (=dando ascolto) al Messia fanno sedere per gruppi la gente e così offrono a Gesù l’occasione di fare il miracolo della moltiplicazione dei pani. Il Vangelo di questa domenica, sembra, a prima vista, discostarsi dal tema dell'eucaristia. Esso ci rimanda, infatti, al miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, episodio notissimo ma che, sembra esser lontano da quell'ultima cena di Pasqua, consumata da Gesù a Gerusalemme. In realtà, anche il racconto di Luca parla, a suo modo, di una cena, un banchetto improvvisato, in una zona deserta, per commensali abbastanza inusuali. Gli oltre cinquemila presenti, grazie al gesto di obbediente carità degli apostoli ricevettero del pane per continuare a vivere una vita che finisce. Con l’Eucaristia, il Pane di Vita, noi riceviamo in dono un alimento miracoloso per la vita eterna.
Con questo stupendo dono dell’Eucaristia, che è frutto della passione e morte di Cristo, il nostro cuore, affamato di eterno, è saziato da Gesù, che per noi si è “fatto” pane vivo e manna celeste. In effetti il frumento seminato nella terra serve per produrre pane di terra, che permette di vivere ma non impedisce di morire. Con l’essere innalzato sulla Croce, il Salvatore è seminato nel cielo, si “fa” pane di cielo, eterno, “Pane angelico fatto Pane per gli uomini”, pellegrini dell’eterno che questo Pane ritempra nelle forze di bene e nella fedeltà di Dio. Con la Comunione noi siamo veramente in Dio e Dio è veramente in noi.
2) La partecipazione all’offerta eucaristica.
L’offerta di Gesù immolato si è trasformata in vita per noi. Come possiamo parteciparvi?
S. Giovanni Crisostomo fece una domanda simile e una volta durante la predica chiese: “Come potremmo fare noi dei nostri corpi un’ostia?”. E lui stesso rispose: “I vostri occhi non guardino nulla di cattivo, e avrete offerto un sacrificio; la vostra lingua non preferisca parole sconvenienti, e avrete fatto un’offerta; la vostra mano non commetta peccato, e avrete compiuto un olocausto”. All’offerta del corpo e del sangue del Signore che facciamo sull’altare, si accompagni il sacrificio della nostra esistenza. Ogni giorno, attingiamo dal Corpo e Sangue del Signore quell’amore libero e puro che ci rende degni ministri (dalla parola latina minister = minus quam alter = inferiore = servitore) del Cristo e testimoni della sua gioia.
Nell’Eucaristia il Salvatore viene a noi non tanto per premiare la nostra virtù, quanto per comunicarci la forza di diventare santi, cioè persone guidate dal suo amore sapiente e che hanno Lui come Ospite costante nel nostro cuore. Siamo santi non se compiamo gesta straordinarie, ma se siamo uniti a Cristo, se facciamo nostri i suoi atteggiamenti, i suoi pensieri, se modelliamo la nostra vita sulla sua. Più faremo la Comunione, più saremo in comunione con Dio e con i nostri fratelli e sorelle. Lasciamoci guidare da questo amore divino, in modo tale che l’ “Amen”, che diciamo quando riceviamo l’Ostia consacrata, sia non solo affermato con la bocca, ma sentito con il cuore.
Il pane eucaristico è frutto del dono di sé di Cristo, frutto della sua passione e morte, frutto del suo amore “eccessivo”. Non ci resta che adorarLo e ringraziarLo di averci ancorato all’eternità come fratelli suoi, di averci messo nelle mani del Padre come figli nel Figlio, di aver fatto “rivivere” la nostra carne nella sua carne. “La partecipazione all’Eucaristia, sacramento della Nuova Alleanza, è il vertice dell’assimilazione a Cristo, fonte di vita eterna e forza del dono totale di sé” (B. Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, .21).

3) Processione e adorazione.
Se nel Giovedì Santo viene messo in evidenza lo stretto rapporto che esiste tra l’Ultima Cena e il mistero della morte di Gesù in croce. Oggi, festa del Corpus Domini, con la processione e l’adorazione comunitaria dell’Eucaristia si attira l’attenzione sul fatto che Cristo si è immolato per l’intera umanità.
Lui è il Dio con noi, l'Emmanuele, e noi siamo invitati a portarlo nel mondo: oggi con la processione, ogni giorno con la testimonianza dei passi del cuore, che ha stabilità nel suo amore.
Il suo passaggio con noi e per (par - by) noi fra le case e per le strade del nostro mondo sia per (pour – for) noi un’offerta di gioia, di vita immortale, di pace e di amore.
Il fatto di mostrare per le strade del mondo Gesù sotto il segno sacramentale del Pane consacrato diventa anche educazione a scorgerlo sotto il segno di ogni nostro fratello, sotto il segno di tutti gli avvenimenti della nostra vita. Il portare questo Vangelo eucaristico nel mondo, fa in modo che portiamo questa divina Presenza agli uomini ed alle donne di tutti tempi, portando loro la benedizione grande e divina: Gesù Cristo in persona.
E’ l’Amore che ci raduna, ci invita a camminare seguendo Cristo con i passi del cuore, ci chiama ad adorarlo. Dall'abisso del nostro essere fragile creature non possiamo che adorare. “Di fatto l'adorazione non è che il sentimento del nostro nulla, ma non un sentimento che avvilisce, non un sentimento che ci umilia: è un sentimento di umiltà, ma non di umiliazione, perché l'anima esperimenta il suo nulla nella misura che si fa presente dinanzi all'assoluta grandezza” (Divo Barsotti). Dall'adorazione nascono la familiarità e la fiducia, perché l'adorazione eucaristica è l'adorazione di Dio di amore immenso, di grazia infinita e di misericordia senza limiti.
E’ un’adorazione che fa vivere una vera e completa adesione a Cristo, quale è espressa dalle Vergini consacrate che con il dono totale di sé sono entrate in rapporto di particolare intimità e di unione con Cristo, fino a fare di Lui il centro dell’esistenza, come la Madonna che fu la prima Vergine Consacrata cristiana e che fu la personificazione stessa di questa adorazione di Gesù.
C’è un profondo rapporto tra la verginità e l’adorazione: entrambe sono pervase dall’unica, appassionata brama di vedere l’Amato faccia a faccia, poterlo finalmente stringere tra le braccia, raggiungere l’unione a lungo sospirata. Come la verginità anche l’adorazione sembra che non abbia uno scopo “pratico”, ma “almeno” è un modo per manifestare che il Signore è tutto e vale la pena dare se stessi e spendere il tempo solamente per lui. Il proprio corpo e cuore consacrati a Dio nella verginità, il tempo trascorso in adorazione davanti a Gesù non toglie nulla alla nostra vita ed al nostro lavoro. Ci radica intimamente in Dio e ci avvicina profondamente gli uni gli altri, intensifica il nostro amore reciproco, rende la presenza di Cristo più viva, più reale: qualcosa o, meglio, qualcuno che veramente ci unisce.


LETTURA PATRISTICA
San Giovanni Crisostomo,
Sull’Eucarestia

Vuoi onorare il corpo di Cristo?
Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra, cioè nei poveri, privi di panni per coprirsi.
Non onorarlo qui in chiesa con stoffe di seta, mentre fuori lo trascuri quando soffre per il freddo e la nudità. Colui che ha detto: "Questo è il mio corpo", confermando il fatto con la parola, ha detto anche: "Mi avete visto affamato e non mi avete dato da mangiare" e "ogni volta che non avete fatto queste cose a uno dei più piccoli fra questi, non l'avete fatto neppure a me".
Il corpo di Cristo che sta sull'altare non ha bisogno di mantelli, ma di anime pure; mentre quello che sta fuori ha bisogno di molta cura.
Impariamo dunque a pensare e a onorare Cristo come egli vuole. Infatti l'onore più gradito, che possiamo rendere a colui che vogliamo venerare, è quello che lui stesso vuole, non quello escogitato da noi.
Che vantaggio può avere Cristo se la mensa del sacrificio è piena di vasi d'oro, mentre poi muore di fame nella persona del povero?
Prima sazia l'affamato, e solo in seguito orna l'altare con quello che rimane.
Gli offrirai un calice d'oro e non gli darai in bicchiere d'acqua? che bisogno c'è di adornare con veli d'oro il suo altare, se poi non gli offri il vestito necessario? che guadagno ne ricava egli?
Dimmi: se vedessi uno privo del cibo necessario e, senza curartene, adornassi d'oro solo la sua mensa, credi che ti ringrazierebbe, o piuttosto non s'infurierebbe contro di te? e se vedessi uno coperto di stracci e intirizzito dal freddo, e, trascurando di vestirlo, gli innalzassi colonne dorate, dicendo che lo fai in suo onore, non si riterrebbe forse di essere beffeggiato e insultato in modo atroce?
Pensa la stessa cosa di Cristo, quando va errante e pellegrino, bisognoso di un tetto. Tu rifiuti di accoglierlo nel pellegrino e adorni invece il pavimento, le pareti, le colonne e i muri dell'edificio sacro.
Attacchi catene d'argento alle lampade, ma non vai a visitarlo quando lui è incatenato in carcere.
Dico questo non per vietarvi di procurare tali addobbi e arredi sacri, ma per esortarvi a offrire, insieme a questi, anche il necessario aiuto ai poveri, o, meglio, perché questo sia fatto prima di quello.
Nessuno è mai stato condannato per non aver cooperato ad abbellire il tempio, ma chi trascura il povero è destinato alla geenna, al fuoco inestinguibile e al supplizio con i demoni. Perciò, mentre adorni l'ambiente per il culto, non chiudere il tuo cuore al fratello che soffre.
Questo è il tempio vivo più prezioso di quello.
San Giovanni Crisostomo






Come Lettura (quasi) patristica da meditare propongo la Sequenza scritta da san Tommaso d’Aquino e che si legge oggi nella liturgia della Santa Messa. E’ un magnifico componimento che ci immette nei contenuti teologici dell’Eucaristia in modo chiaro e profondo. Ne presento quelli che sono, secondo me da sottolineare, più sotto propongo il testo latino integrale con la traduzione letterale.
"Questa è la festa solenne nella quale celebriamo la prima sacra cena. È il banchetto del nuovo Re, nuova Pasqua, nuova legge; e l'antico è giunto a termine. Cede al nuovo il rito antico, la realtà disperde l'ombra: luce, non più tenebra. Cristo lascia in sua memoria ciò che ha fatto nella cena: noi lo rinnoviamo. Obbedienti al suo comando, consacriamo il pane e il vino, ostia di salvezza. È certezza a noi cristiani: si trasforma il pane in carne, si fa sangue il vino. Tu non vedi, non comprendi, ma la fede ti conferma, oltre la natura. È un segno ciò che appare: nasconde nel mistero realtà sublimi. Mangi carne, bevi sangue; ma rimane Cristo intero in ciascuna specie. Chi ne mangia non lo spezza, né separa, né divide: intatto lo riceve. Siano uno, siano mille, ugualmente lo ricevono: mai è consumato. Vanno i buoni, vanno gli empi; ma diversa ne è la sorte: vita o morte provoca. Vita ai buoni, morte agli empi: nella stessa comunione ben diverso è l'esito! Quando spezzi il sacramento non temere, ma ricorda: Cristo è tanto in ogni parte, quanto nell'intero. È diviso solo il segno non si tocca la sostanza; nulla è diminuito della sua persona".



Etimologia di eucaristia e brevissima storia dell’origine della festa del Corpo e del Sangue di Cristo.

- Eὖ" "èu" è un avverbio, e significa "bene", in tutte le sue accezioni, mentre "χάρις" "chàris" significa "grazia, dono".
Il verbo greco "εὐχαριστέω" "eucharistèo" significa "ringraziare", ma di fatto l'espressione "εὐχάριστια" può essere intesa sia come "ringraziamento" nei confronti di Gesù per il suo sacrificio e la salvezza del genere umano, sia come "buona carità", nel senso dell'atto vero e proprio del Cristo nel subire la morte per la salvezza del genere umano.

- La festa del Corpus Domini ha le sue origini dal miracolo di Bolsena (cittadina sul lago omonimo in provincia di Viterbo - Italia). Un sacerdote boemo, di passaggio, nel 1263, andò a celebrare la Messa nella Chiesa di Santa Cristina, tormentato dai dubbi intorno alla reale presenza del Corpo del Signore, nell'ostia consacrata. Al momento della frazione dell'ostia, sotto il suo sguardo esterrefatto, caddero dal calice gocce di sangue sul corporale e sul pavimento. Fu subito informato il Papa, Urbano IV, che risiedeva ad Orvieto, il quale fece esaminare il prodigio da illustri teologi del tempo quali S. Tommaso d'Aquino e S. Bonaventura da Bagnoregio. Accertato il miracolo, il Papa istituì la festa del Corpus Domini, da celebrarsi ogni anno in tutto il mondo cristiano.


Sequentia
Lauda, Sion Salvatórem,
lauda ducem et pastórem
in hymnis et cánticis.
Quantum potes, tantum aude:
quia maior omni laude,
nec laudáre súfficis.
Laudis thema speciális,
panis vivus et vitális
hódie propónitur.
Quem in sacræ mensa cenæ,
turbæ fratrum duodénæ
datum non ambígitur.
Sit laus plena, sit sonóra,
sit iucúnda, sit decóra
mentis iubilátio.
Dies enim solémnis ágitur,
in qua mensæ prima recólitur
huius institútio.
In hac mensa novi Regis,
novum Pascha novæ legis
Phase vetus términat.
Vetustátem nóvitas,
umbram fugat véritas,
noctem lux elíminat.
Quod in cena Christus gessit,
faciéndum hoc expréssit
in sui memóriam.
Docti sacris institútis,
panem, vinum, in salútis
consecrámus hóstiam.
Dogma datur Christiánis,
quod in carnem transit panis,
et vinum in sánguinem.
Quod non capis, quod non vides,
animósa firmat fides,
præter rerum órdinem.
Sub divérsis speciébus,
signis tantum, et non rebus,
latent res exímiæ.
Caro cibus, sanguis potus:
manet tamen Christus totus,
sub utráque spécie.
A suménte non concísus,
non confráctus, non divísus:
ínteger accípitur.
Sumit unus, sumunt mille:
quantum isti, tantum ille:
nec sumptus consúmitur.
Sumunt boni, sumunt mali:
sorte tamen inæquáli,
vitæ vel intéritus.
Mors est malis, vita bonis:
vide paris sumptiónis
quam sit dispar éxitus.
Fracto demum sacraménto,
ne vacílles, sed memento,
tantum esse sub fragménto,
quantum toto tégitur.
Nulla rei fit scissúra:
signi tantum fit fractúra:
qua nec status nec statúra
signáti minúitur.
Ecce panis Angelórum,
factus cibus viatórum:
vere panis fíliórum,
non mitténdus cánibus.
In figúris præsignátur,
cum Isaac immolátur:
agnus paschæ deputátur:
datur manna pátribus.
Bone Pastor, panis vere,
Iesu, nostri miserére:
tu nos pasce, nos tuére:
tu nos bona fac vidére
in terra vivéntium.
Tu, qui cuncta scis et vales:
qui nos pascis hic mortales:
tuos ibi commensáles,
coherédes et sodales
fac sanctórum cívium. Amen.
Allelúia.
Traduzione letterale
Loda o Sion il Salvatore,
loda la Guida e il Pastore
in inni e cantici.
Quanto puoi tanto ardisci:
perché (Egli è) superiore ad ogni lode,
e (tu) non basti a lodarlo.
Come tema di lode speciale,
il Pane vivo e datore di vita
viene oggi proposto,
il quale, alla mensa della sacra cena,
alla schiera dei dodici fratelli,
non si dubita dato.
La lode sia piena, sia risonante,
sia lieto, sia appropriato
il giubilo della mente,
poiché si celebra il giorno solenne,
nel quale di questa mensa si ricorda
la prima istituzione.
In questa mensa del nuovo Re,
la nuova Pasqua della nuova legge
pone fine al vecchio tempo.
La novità (allontana) la vetustà,
la verità allontana l'ombra,
la luce elimina la notte.
Ciò che Cristo fece durante la cena
comandò da farsi
in suo ricordo.
Ammaestrati coi sacri insegnamenti,
consacriamo il pane e il vino,
ostia di salute.
Ai cristiani vien dato come dogma
che il pane si cambia in carne,
e il vino in sangue.
Ciò che non comprendi, ciò che non vedi,
ardita assicura la fede,
contro l’ordine delle cose.
Sotto specie diverse,
(che sono) solamente segni e non cose,
si nascondono cose sublimi.
La carne (è) cibo, il sangue bevanda:
eppure Cristo resta intero
sotto ciascuna specie.
Da colui che (lo) assume, non spezzato,
non rotto, non diviso:
(ma) intero è ricevuto.
(Lo) riceve uno, (lo) ricevono mille:
quanto questi tanto quello;
né ricevuto si consuma.
(Lo) ricevono i buoni, (lo) ricevono i malvagi,
ma con ineguale sorte:
di vita o di morte.
È morte per i malvagi, vita per i buoni:
vedi di pari assunzione
quanto sia diverso l’effetto.
Spezzato finalmente il Sacramento,
non tentennare, ma ricorda
che tanto c’è sotto un frammento
quanto si nasconde nell’intero.
Nessuna scissura si fa della sostanza;
si fa rottura solo del segno:
per cui né lo stato né la dimensione
del Segnato è sminuita.
Ecco il pane degli angeli
fatto cibo dei viandanti:
vero pane dei figli
da non gettare ai cani.
Nelle figure è preannunciato,
con Isacco è immolato,
quale Agnello pasquale è designato,
è dato qual manna ai padri.
Buon pastore, pane vero,
o Gesù, abbi pietà di noi:
Tu nutrici, proteggici,
Tu fa' che noi vediamo le cose buone
nella terra dei viventi.
Tu, che tutto sai e puoi,
che qui pasci noi mortali:
facci lassù Tuoi commensali,
coeredi e compagni
dei santi cittadini. Amen.
Alleluia.



Traduzione liturgica italiana

Sion, loda il Salvatore,
la tua guida, il tuo pastore,
con inni e cantici.
Impegna tutto il tuo fervore:
egli supera ogni lode,
non vi è canto che sia degno.
Pane vivo, che dà vita:
questo è tema del tuo canto,
oggetto della lode.
Veramente fu donato
agli apostoli riuniti
in fraterna e sacra cena.
Lode piena e risonante,
gioia nobile e serena
sgorghi oggi dallo spirito.
Questa è la festa solenne
nella quale celebriamo
la prima sacra cena.
È il banchetto del nuovo Re,
nuova Pasqua, nuova legge;
e l'antico è giunto a termine.
Cede al nuovo il rito antico,
la realtà disperde l'ombra:
luce, non più tenebra.
Cristo lascia in sua memoria
ciò che ha fatto nella cena:
noi lo rinnoviamo.
Obbedienti al suo comando,
consacriamo il pane e il vino,
ostia di salvezza.
È certezza a noi cristiani:
si trasforma il pane in carne,
si fa sangue il vino.
Tu non vedi, non comprendi,
ma la fede ti conferma,
oltre la natura.
È un segno ciò che appare:
nasconde nel mistero
realtà sublimi.
Mangi carne, bevi sangue:
ma rimane Cristo intero
in ciascuna specie.
Chi lo mangia non lo spezza,
né separa, né divide:
intatto lo riceve.
Siano uno, siano mille,
ugualmente lo ricevono:
mai è consumato.
Vanno i buoni, vanno gli empi;
ma diversa ne è la sorte:
vita o morte provoca.
Vita ai buoni, morte agli empi:
nella stessa comunione
ben diverso è l'esito!
Quando spezzi il sacramento,
non temere, ma ricorda:
Cristo è tanto in ogni parte,
quanto nell'intero.
È diviso solo il segno,
non si tocca la sostanza;
nulla è diminuito
della sua persona.
Ecco il pane degli angeli,
pane dei pellegrini,
vero pane dei figli:
non dev'essere gettato.
Con i simboli è annunziato,
in Isacco dato a morte,
nell'agnello della Pasqua,
nella manna data ai padri.
Buon Pastore, vero pane,
o Gesù, pietà di noi;
nutrici e difendici,
portaci ai beni eterni
nella terra dei viventi.
Tu che tutto sai e puoi,
che ci nutri sulla terra,
conduci i tuoi fratelli
alla tavola del cielo,
nella gioia dei tuoi santi.
Amen.

venerdì 24 maggio 2013

Il Dio vicino: la Trinità, di cui noi siamo Tempio.

L’Amore divino fonda e svela l’amore umano.

Festa della SS.ma Trinità – 26 maggio 2013
Rito romano
Pro 8, 22-31; Sal 8; Rm 5, 1-5; Gv 16, 12-15

Rito ambrosiano
Gen 18,1-10a; Sal 104; 1Cor 12,2-6; Gv 14,21-26

1) Dalla Croce alla Trinità.
Nella Croce di Gesù tutta la santissima Trinità è coinvolta: coinvolta nell'Amore e per Amore! Molti antichi dipinti occidentali raffigurano il Crocifisso sostenuto dalle braccia del Padre, scelgo quello del Masaccio (a Firenze, in Santa Maria Novella, si veda http://catholicteenapologetics.files.wordpress.com/2012/05/masaccio_trinity.jpg oppure foto alla fine di queste riflessioni) dove lo Spirito Santo sotto forma di colomba è tra la testa del Padre ed il capo coronato di spine di Cristo. E’ vero! Tra il Padre e il Figlio c'è una misteriosa, comunione di amore. Per questo Gesù ha potuto dire dalla croce senza esitazione: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). Tra il Padre e il Figlio c'è una perfetta, spirituale comunione d'Amore! Per questo, morendo, Gesù ha potuto esclamare con filiale fiducia: “Padre, nelle tue mani consegno il mio Spirito” (Lc 23,46). E da questo momento l'umanità di Gesù, attraversata dall'atto di Amore che unisce il Figlio al Padre dall'eternità, è diventata sorgente di vita filiale per tutti coloro che si aprono a Gesù nell'umiltà della fede: “A quanti l'hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati” (Gv 1,12-13).
Se Dio è così, se questa è la via attraverso la quale egli ci salva (ed è così!) la Trinità non è un mistero remoto, irrilevante per la nostra vita. Queste tre Persone divine che ci sono più “intime” nella vita: non sono infatti fuori di noi, come la stessa moglie o il marito o i figli o gli amici, ma sono dentro di noi. Esse “dimorano in noi” (Gv 14, 23).
Un esempio grande di come la Croce sia via alla Trinità ci è dato da San Francesco d’Assisi. Contemplando il Verbo incarnato e crocifisso, questo grande Santo visse l’amore del Dio-Trinità, che si dona a lui e lui, Francesco, rispose a sua volta con piena dedizione.
San Francesco mutato nel cuore divenne simile a Cristo anche nel corpo, con le stigmate. Condotto dallo Spirito tra i lebbrosi, il Santo di Assisi condivise la misericordia che aveva ricevuto da Dio Padre, ricco di misericordia. San Francesco capì e ci fa capire che l'atto del morire del Cristo è il dono che Egli fa del suo Spirito. E se il Cristo ci dona il suo Spirito, noi diveniamo membra del Cristo, viviamo la sua Presenza.
Sulla Croce Gesù donò il suo Spirito e in quel momento lo ricevettero in pochi, perché in pochi (la Madonna, San Giovanni e Santa Maria Maddalena) erano rimasti ai piedi della Croce. Poi, nel giorno della sua Resurrezione, la domenica, quando Egli entrerà nel Cenacolo a porte chiuse lo donò ai dodici: “Ricevete lo Spirito Santo”. Poi ancora lo donò alla Chiesa il giorno di Pentecoste: “Si effonderà su tutti” disse San Pietro. È un crescere continuo di questo dono che oggi è stato fatto anche a noi e che fa di noi “Tempio della Trinità”.


2) Il Dio vicino.
La liturgia della Messa odierna ci ricorda che Dio non è un Dio impersonale, freddo e lontano da noi. In effetti, Lui “è buono e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore” (Sal 102 [103], 8), “ricco di misericordia, di grazia e di fedeltà(Ef 4,2 e Es 34, 6). Il Signore non disprezza la polvere di cui siamo plasmati e ci sazia di misericordia e di perdono. 
Affermiamo con grande gioia: Benedetto sia Dio, il Padre e il suo Figlio unigenito e lo Spirito Santo ,perché Dio è il Padre, che ci ha amato così tanto da offrirci suo Figlio e da concederci il suo Spirito cosicché possiamo riconoscere Dio come amore infinito.

Niente è più vero, vivificante e confortante per noi che la presenza della Santa Trinità nella nostra vita. Niente, infatti, può esistere o agire oppure divenire perfetto senza le tre Persone divine, senza Dio, tanto che san Paolo non esita di affermare che “in Lui, infatti, viviamo, ci muoviamo e siamo” (At 17, 28)).
x
Dio è vicino e noi lo pensiamo lontano. E' nel reale e negli avvenimenti e noi lo cerchiamo nei sogni e nelle utopie impossibili.
Il vero segreto per entrare in rapporto con Dio è la piccolezza, la semplicità del cuore, la povertà di spirito: tutte cose che vengono frustrate in noi dall'orgoglio, dalla ricchezza e dalla furbizia. Gesù lo aveva detto: “Se non sarete come bambini... non entrerete nel mio Regno” (cfr Mt 18, 3): cioè “non mi sarete vicini” e non aveva certo voglia di scherzare o di prenderci in giro. Il vedere o il non vedere Dio dipende dal nostro occhio: se è un occhio semplice e puro Lo vede, se è un occhio maligno e impuro non Lo vede. Poi, Se per distrazione o superficialità ci si dimentica qualche volta di Lui, ci pensa il dolore o il mistero a richiamarmene la presenza. Certo che il mistero continuava a circondarci, ma è un mistero d’amore. Come il grembo di nostra mamma che ci ha contenuti e generati alla vita.
Cosa c'è di più vero e di più semplice del grembo di una madre che contiene un figlio? Come cogliere il mistero di Chi ci ama?
Il modo più semplice è di essere semplici, intelligenti e saggi come bambini. In loro, nei bambini, c'è una intuizione di base data da Dio stesso. Ma non basta essere piccoli, occorre anche essere poveri. Attenzione, però, perché essere piccoli nel Vangelo non significa essere piagnucolosi e immaturi. E essere poveri, non vuol dire avere abiti frusti, scarpe consumate e case brutte. Piccolo –cristianamente parlando - è chi non pone la sua sicurezza in quello che è o ha, ma confida totalmente nella paternità di Dio. Povero è chi non trasforma in idoli le cose che possiede e sente nel profondo che nulla riuscirà a saziarlo se non Dio Amore.

3) La Trinità: un mistero che ci rivela Dio e che rivela chi siamo noi.
Nei confronti della Trinità, la cosa più importante non è speculare sul mistero, ma rimanere nella fede della Chiesa che è la “nave” che porta alla Trinità.
Siamo condotti a un Dio che “Amante (Padre), Amato (Figlio) e Amore (Spirito Santo)” (Sant’Agostino), che è amore e dialogo, non solo perché ci ama e dialoga, ma perché in se stesso è un dialogo d'amore. Ma questo non rinnova soltanto la nostra concezione di Dio, bensì anche la verità di noi stessi. Se la Bibbia ripete che dobbiamo vivere nell'amore, nel dialogo e nella comunione, è perché sa che siamo tutti “immagine di Dio”. Incontrare Dio, fare esperienza di Dio, parlare di Dio, dar gloria a Dio, tutto questo significa - per un cristiano che sa che Dio è Padre, Figlio e Spirito - vivere in una costante dimensione di amore, di dialogo e di dono. 
La Trinità è un mistero davvero luminoso: rivelandoci Dio, ha rivelato chi siamo noi.
Nella comprensione di questa rivelazione ci sono di particolare aiuto ed esempio la vergini consacrate. Con la pratica dei consigli evangelici di castità obbedienza e povertà questa donne che si sono donate completamente a Dio vivono con particolare intensità il carattere trinitario, che contrassegna tutta la vita cristiana. La castità delle vergini, in quanto manifestazione della dedizione a Dio con cuore indiviso (cfr 1 Cor 7, 32-34), costituisce un riflesso dell'amore infinito che lega le tre Persone divine nella profondità misteriosa della vita trinitaria. La povertà, vissuta sull'esempio di Cristo che «da ricco che era, si è fatto povero» (2 Cor 8, 9), diventa espressione del dono totale di sé che le tre Persone divine reciprocamente si fanno. L' obbedienza, praticata ad imitazione di Cristo, il cui cibo era fare la volontà del Padre (cfr Gv 4, 34), manifesta la bellezza liberante di una dipendenza filiale e non servile, ricca di senso di responsabilità e animata dalla reciproca fiducia, che è riflesso nella storia dell' amorosa corrispondenza delle tre Persone divine. (Giovanni Paolo II, Esort. Ap. Post-sinodale Vita Consacrata, n. 21)

Oltre ad una preghiera di Elisabetta della Trinità ed ad una lettura patristica unisco la riproduzione della Trinità dipinta dal Masaccio


ELEVAZIONE ALLA SANTISSIMA TRINITA' di S. Elisabetta della Trinità

O mio Dio, Trinità che adoro, aiutami a dimenticarmi completamente, per fissarmi in Te, immobile e tranquilla, come se la mia anima fosse già nell'eternità. Nulla possa turbare la mia pace né farmi uscire da Te, o mio Immutabile, ma che ogni istante m'immerga sempre più nella profondità del tuo Mistero.
Pacifica la mia anima, rendila tuo cielo, tua dimora prediletta, luogo del tuo riposo. Che non ti ci lasci mai solo, ma che sia là tutta, interamente desta nella mia fede, tutta in adorazione, pienamente abbandonata alla tua azione creatrice.
O mio Cristo amato, crocifisso per amore, vorrei essere una sposa per il tuo Cuore, vorrei coprirti di gloria, vorrei amarti fino a morirne. Ma sento la mia impotenza, e ti chiedo di "rivestirmi di te", d'identificare la mia anima a tutti i movimenti della tua anima, di sommergermi, d'invadermi, di sostituirti a me, affinché la mia vita non sia che un'irradiazione della tua vita. Vieni in me Adoratore, come Riparatore e come Salvatore.
O Verbo eterno, Parola del mio Dio, voglio passare la mia vita ad ascoltarti, voglio rendermi perfettamente docile per imparare tutto da Te. Poi, attraverso tutte le notti, tutti i vuoti, tutte le impotenze, voglio sempre fissare Te e restare sotto la tua grande luce. O mio Astro amato, affascinami perché non possa più uscire dalla tua irradiazione.
Fuoco consumante, Spirito d'amore, "discendi in me", affinché si faccia nella mia anima come una incarnazione del Verbo e io gli sia una umanità aggiunta nella quale Egli rinnovi il suo Mistero.
E tu, o Padre, chinati sulla tua povera piccola creatura, "coprila della tua ombra", e non vedere in lei che "Il Diletto nel quale hai posto tutte le tue compiacenze".
O miei Tre, mio tutto, mia beatitudine, solitudine infinita, immensità in cui mi Perdo, mi abbandono a Voi come una preda.
Seppellitevi in me perché io mi seppellisca in Voi, in attesa di venire a contemplare nella vostra luce l' abisso delle vostre grandezze.


Lettura (quasi) Patristica
Dal Libro della più alta verità di Giovanni Ruusbroec,
scritto per i monaci della Certosa di Herinnes.


Livre de la plus haute verité,811. Oeuvres,BruxellesParis, 1921, t. I1, 211 218.


Vi descriverò come l'uomo interiore fa l'esperienza dell'unione con Dio non mediata.
Quando un uomo si eleva verso Dio con tutto se stesso con tutte le sue forze, e vi si consacra con amore vivo operante, sente nel fondo del suo essere un amore dilettevole e senza limiti. Egli prova una gioia estrema in questo fondo donde proviene e ove ritorna questo amore.
Se poi con il suo amore operante egli vuole penetrare più addentro in quell'amore dilettevole, allora tutte le potenze della sua anima devono cedere e accettare di patire la verità e la bontà di Dio, cioè Dio stesso.
Sapete che l'aria è bagnata dalla lucentezza e dal calore del sole; vi è noto che Il ferro, quando è tutto penetrato dal fuoco, scalda e illumina come il fuoco stesso. Anche l'aria, se fosse dotata di ragione, potrebbe dire: "Rischiaro e illumino il mondo intero". Tuttavia, ogni elemento conserva la propria natura e il fuoco non diventa ferro, cosi come il ferro non diventa fuoco.
L'unione non avviene tramite elementi intermedi, perché il ferro è nel fuoco e il fuoco nel ferro; ugualmente, l'aria è nella luce del sole e la luce del sole nell'aria.
Dio è sempre presente nell'essenza dell'anima. Quando le potenze superiori dell'anima rientrano in se stesse con amore attivo, sono unite a Dio in modo non mediato.
Questa unione è una conoscenza semplice della verità, un sentimento e un gusto essenziale per il bene. Possediamo questa conoscenza e questa esperienza semplici di Dio nell'amore dilettevole ed essenziale, e le esercitiamo mediante l'amore attivo.
Questa conoscenza ed esperienza di Dio, a cui si accede per le potenze dell'anima, supera poi queste potenze, perché il ritorno interiore a Dio esala nell'amore. Eppure le potenze sono necessarie, perché dimorano sempre nella parte essenziale dell'anima.
Ecco perché dobbiamo sempre far ritorno all'amore e rinnovarci in esso, se vogliamo trovare l'amore con l'amore. Ce lo insegna san Giovanni, quando scrive: Chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui.
Tuttavia, benché quest'unione tra lo spirito amante e Dio sia senza modi intermedi, i due esseri rimangono perfettamente distinti. La creatura non diventa Dio ne Dio diventa creatura, così come ho spiegato sopra nell'esempio del ferro e del fuoco o dell'aria e del sole.
Abbiamo detto che le cose materiali create da Dio, come il ferro e il fuoco, potevano unirsi senza elementi medianti. A maggior ragione, Dio stesso può unirsi in modo non mediato con i suoi diletti, purché questi si applichino e si preparino a ciò, aiutati dalla grazia.
Per rendere possibile quest' unione, Dio ha ornato di virtù l'uomo interiore e lo ha innalzato alla vita contemplativa. Nell'atto supremo del ritorno verso Dio, l'uomo non sperimenta nessun'altra funzione intermediaria tra 1 (Gv 4,16) se e Dio, se non la sua ragione illuminata e il suo amore operante. Tramite queste attività, egli aderisce a Dio o, per dirla con san Bernardo, è uno con Dio.
Oltre la ragione e l'amore operante, l'uomo è elevato fino all'amore essenziale in una visione pura e scevra di attività. Egli è un solo spirito e un solo amore con Dio, come vi descrissi. Quest'unione è abituale per i contemplati vi e trascende l'intelligenza.
Finché l'uomo permane in questo stato, è capace di contemplare e di avvertire l'unione non mediata. Sente in se quel tocco di Dio che è un rinnovamento della grazia e di tutte le virtù divine.
Dovete sapere che tale grazia di Dio penetra pure nelle potenze inferiori dell'anima. Essa tocca il cuore dell'uomo, vi produce un amore tenero e provoca un'attrattiva sensibile per Dio.
Il sentimento di questa unione è la nostra beatitudine sovra essenziale. Dio gode allora dei suoi eletti ed essi godono di lui. Questa beatitudine è silenzio nelle tenebre, è quiete. Tale silenzio appartiene all'essenza stessa di Dio, ma è sovra essenziale a ogni creatura.
In quella quiete le persone divine ritornano nell'amore essenziale e vi s'inabissano come in un'unione fruitiva; eppure rimangono sempre distinte, secondo le loro proprietà personali e le loro operazioni.
Secondo il modo delle persone divine, la Trinità è eternamente attiva, mentre secondo la semplicità della sua essenza dimora eternamente nella quiete e senza modo. Ecco perché tutto quello che Dio ha eletto e accolto nel suo amore eterno e personale, lo gode perfettamente nell'unità dell'amore essenziale.
Infatti le persone divine si abbracciano in una reciproca compiacenza eterna. Nella loro unità esse condividono un amore infinito e operoso che si rinnova senza posa nella sorgente viva della Trinità. Infatti, in seno a essa vi è sempre nuova generazione e nuova conoscenza, nuova compiacenza e nuova ispirazione in nuovo amplesso, nuovo torrente d'amore eterno.
Tutti gli eletti, angeli e uomini, dal primo all'ultimo, sono coinvolti in questa compiacenza. Da essa dipendono il cielo e la terra, la vita, l'essere, l'attività e la conservazione di tutte le creature.
Dall'amore divino però è escluso il peccato, che proviene dalla cieca perversità propria alla creatura e che la allontana da Dio.
Dalla compiacenza divina derivano la grazia, la gloria, tutti i doni in cielo e in terra. Questa compiacenza si manifesta in ogni essere con modo differente, secondo la necessità e le capacità che gli sono proprie. Infatti la grazia di Dio si offre ad ogni uomo e aspetta che ogni singolo peccatore faccia ritorno.
Quando, soccorso dalla grazia, il peccatore consente ad avere pietà di se stesso e ad implorare Dio con fiducia, si scopre sempre perdonato da lui. La compiacenza amorosa lo conduce fino all'eterna compiacenza di Dio, per cui egli è afferrato e risucchiato nell'amore infinito che è Dio stesso.
L'uomo così abbracciato da Dio, va rinnovandosi in amore e in virtù, perché esercita l'amore e partecipa alla vita eterna non appena si compiace in Dio e Dio si compiace in lui.
Se capissimo davvero che l'amore di Dio e la sua compiacenza sono eterne, il nostro amore e la nostra compiacenza verso di lui si rinnoverebbero senza posa, ad immagine delle relazioni tra le persone divine. In esse infatti vi è sempre nuova compiacenza nell'unità, e nuova emanazione d'amore in nuovo amplesso.
L'amplesso divino è fuori del tempo, senza prima ne dopo, in un eterno presente. Tutto è consumato nell'unità di questo abbraccio; tutto si attua nell'effusione di questo amore, e tutto riceve l'esistenza nella natura viva e feconda della Trinità.
In questa natura viva e feconda, il Figlio è nel Padre, il Padre nel Figlio e lo Spirito Santo in entrambi, L'unità trinitaria è all'inizio di ogni vita e all'origine di ogni divenire. In Dio tutte le creature sono presenti come nella loro causa eterna, condividendo cosi una medesima essenza e una medesima vita con Dio.
La distinzione delle persone divine proviene dalla loro reciproca emanazione. Il Figlio è generato dal Padre e lo Spirito Santo procede dall'uno e dall'altro.
Grazie all'emanazione del Figlio nello Spirito, il Padre crea e ordina ogni cosa, ciascuna nella sua essenza propria. Là, per quanto dipende da lui, Dio ricrea l'uomo mediante le sue grazie e la sua morte in croce; lo adorna d'amore e di virtù, e lo riconduce con se nell'unità divina.
Nella Trinità, tutti gli eletti sono afferrati e risucchiati nel vincolo dell'amore con il Padre e il Figlio, cioè nell'unità dello Spirito Santo. L'unità trinitaria feconda l'emanazione delle persone divine e nel loro ritorno è legame d'amore eterno e indissolubile.
Tutti coloro che hanno l'esperienza di quel legame d'amore posseggono una beatitudine eterna; sono ricchi in virtù, illuminati nella loro contemplazione e semplici nel loro riposo fruitivo. Quando infatti ritornano nel loro fondo interiore, vedono l'amore di Dio effondersi in essi con tutti i beni e attirarli nell'unità divina. Essi avvertono questo amore come sovra essenziale e senza modo in una quiete eterna.
Ecco perché i beati sono uniti a Dio in modo non mediato, mediato e anche senza differenza. I giusti avvertono l'amore di Dio come un bene comune che si espande in cielo e sulla terra, e sentono la santissima Trinità china su di loro e presente in loro con la pienezza di grazie.

venerdì 17 maggio 2013

Chiesa è il luogo “dove fiorisce lo Spirito”

Chiesa è il luogo “dove fiorisce lo Spirito” (Sant'Ippolito di Roma, Traditio apostolica, 35), è il Popolo eletto e senza frontiere, che proviene da tutti i popoli: “Battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, giudei e greci” (1 Cor 12, 13).


Pentecoste – Anno C – 19 maggio 2013

Rito romano
Atti 2, 1-11; Sal 103 (104); Romani 8,8-17; Giovanni 14,15-16.23b-26

Rito ambrosiano
At 2,1-11; Sal 103 (104); 1Cor 12,1-11; Gv 14,15-20

Fuoco e vento

1) L’antica e la nuova Pentecoste.
Per Israele, la Pentecoste, da festa della mietitura, era diventata la festa che faceva memoria della conclusione dell’Alleanza al Sinai. Dio aveva mostrato la sua presenza al popolo attraverso il vento e il fuoco e gli aveva poi fatto dono della sua legge, dei 10 Comandamenti incisi su pietra.
Nel giorno della nuova Pentecoste, quella dei cristiani, Dio ha donato la sua legge di carità, ma non l’ha scritta su due tavole di pietra, bensì l’ha incisa nel cuore degli Apostoli per mezzo dello Spirito Santo, poi l’ha comunicata a tutta la Chiesa per mezzo degli Apostoli. Su di loro il giorno di Pentecoste “lo Spirito Santo è sceso con suono improvviso e ha mutato le loro menti di esseri carnali all’interno del suo amore, e mentre apparvero all’esterno lingue di fuoco, all’interno i cuori divennero fiammeggianti, poiché, accogliendo Dio nella visione del fuoco, soavemente arsero per amore» (San Gregorio Magno, Hom. in Evang. XXX, 1: CCL 141, 256). Il fuoco dello Spirito Santo li riunì in comunione di vita, e di Vita divina per loro e per il mondo. La loro Parola non fu più solo umana, ma Parola di Dio, che lo Spirito Santo aveva posto nei loro cuori e sulle loro bocche di carne. E portarono questo Vangelo di verità e di amore a tutto il mondo.
La voce di Dio divinizza il linguaggio umano degli Apostoli, i quali diventano capaci di proclamare in modo “polifonico” l’unico Verbo divino. Il soffio dello Spirito Santo riempie l’universo, genera la fede, trascina alla verità, predispone l’unità tra i popoli. «A quel rumore la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua delle grandi opere di Dio» (At 2,6.11)” (Benedetto XVI).
Con il dono dello Spirito Santo è affidato anche a noi, discepoli di oggi, questo fuoco di carità che si fa annuncio di perdono redentore. Annuncio che Dio non ha solamente visitato la terra, Dio non è solamente disceso quaggiù nel mondo, ma Dio si dona a me e a te, vive in me e in te, in noi sua Chiesa, suo Corpo vero.
Recitando spesso la giaculatoria “Vieni Santo Spirito, vieni per Maria”, chiediamo allo Spirito Santo il dono della Sapienza per comprendere (non solo nel senso di capire con la testa ma di accogliere con il cuore, come indica l’etimologia del verbo com-prendere= prendere con, accogliere dentro). Leggiamo, infatti, nella Sacra Scrittura: “Pregai e mi fu elargita la prudenza; implorai e venne in me lo spirito della sapienza. La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto” (Sap 7,7-8). Questa superiore sapienza è la radice di una conoscenza nuova, una conoscenza permeata di carità, grazie alla quale l'anima acquista, per così dire, dimestichezza con le cose divine e ne prova gusto. San Tommaso d’Aquino parla appunto di “un certo sapore di Dio” (Summa Theologiae IIa -IIae, 45, 2, ad 1), per cui il vero sapiente non è semplicemente colui che sa le cose di Dio, ma colui che le sperimenta, le vive e le condivide, facendosi missionario annunciando che Dio è Amore, è pienezza di verità, di gioia e di pace.

2) Lo Spirito: fiori, vita e gioia.
Nella prima Parte della Somma Teologica (I, 37, 2), San Tommaso d’Aquino scrive: “Come il fiorire è produrre fiori così l’amare è spirare amore, e come l’albero è fiorente di fiori così il Padre esprime con il Verbo, cioè il figlio, se stesso, e la creatura, e il Padre e il Figlio si amano nello Spirito Santo come amore procedente, nel quale amano se stessi e noi”. Fiori, vita e gioia: ecco lo Spirito. A questo punto si ferma il balbettio della nostra teologia di pellegrini e non ci resta che contemplare questa verità di amore. Chi umanamente avrebbe potuto pensare che Dio con lo stesso medesimo amore, ami se stesso e noi, quasi che un stesso fremito muova e riscaldi congiungendo la nostra vita alla sua?
L’uomo ha sempre cercato un barlume di speranza per vincere la disperazione della morte e delle sofferenze inevitabili, e i sapienti greci avevano trovato questo barlume dichiarando che l’uomo è affine con Dio. Riprendendo questo anelito che l’uomo è di genere divino, nel discorso all’Areopago san Paolo annuncia: “Noi in Dio viviamo e ci muoviamo e siamo” (At 17,20).
Ora, quello che è già mirabile nella partecipazione naturale che l’uomo ha della natura divina, diventa pressoché indicibile, ma consolante, mistero di amore misericordioso nella partecipazione alla natura e vita divina mediante la grazia. Questa grazia ci è stata meritata dalla passione di Cristo. Lo Spirito Santo ci conduce a Figlio, ci rende capaci, assetati e affamati della sua Grazia. Gli Apostoli furono i primi a farne la felice esperienza. Fecero esperienza della Verità che è vedere chiaro nelle cose e in noi stesse, avere la certezza che Dio ci ama e che noi possiamo amare e rifugiarci in lui, chiamandolo “Padre”.

3) Dallo Spirito Santo la Madonna ebbe in dono Gesù.
Se la preghiera consigliata oggi è “Vieni Santo Spirito, vieni per Maria” e la seconda è il “Padre nostro”, la terza è l’Ave Maria, perché “non c’è Pentecoste senza la Madonna” (Benedetto XVI), che dallo Spirito Santo ricevette in dono Gesù.
La presenza di Maria, piena di Grazia, è all’inizio, nel Cenacolo dove gli Apostoli erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la Madre di Gesù, e ai fratelli di lui” (At 1,14) E così è sempre, oggi come allora, a Gerusalemme e in tutte le parti del mondo.
Già al momento dell'annunciazione Maria aveva sperimentato la venuta dello Spirito Santo. L'angelo Gabriele le aveva detto: “Lo Spirito Santo scenderà  su di te, su te stenderà  la sua ombra la potenza dell'altissimo; Colui che nascerà  sarà  dunque santo e chiamato Figlio di Dio» (Lc 1,35). Per mezzo di questa discesa dello Spirito Santo in lei, Maria è¨ stata associata in modo unico ed irripetibile al mistero di Cristo. Nell'enciclica Redemptoris Mater il Beato Giovanni Paolo II ha scritto: “Nel mistero di Cristo essa è presente già “prima della creazione del mondo” (cf. Ef 1,4) come colei che il Padre ha scelto eternamente come madre del suo Figlio nell'incarnazione - ed insieme al Padre l'ha scelta il Figlio, affidandola eternamente allo Spirito di santità” (n. 8).
Nel cenacolo di Gerusalemme quando mediante gli eventi pasquali il mistero di Cristo sulla terra è giunto al suo compimento, Maria si trova nella comunità dei discepoli per preparare una nuova venuta dello Spirito Santo - e una nuova nascita: la nascita della Chiesa.
E vero che lei stessa è già “tempio dello Spirito Santo” per la sua pienezza di grazia e la sua maternità divina; ma essa partecipa alle suppliche per la venuta del Paraclito (paraclī̆tus che deriva dal greco παράκλητος ossia chiamato presso, invocato e quindi consolatore), affinché con la sua potenza faccia prorompere nella comunità apostolica lo slancio verso la missione che Gesù Cristo, venendo nel mondo, ha ricevuto dal Padre (cf. Gv 5,36), e, ritornando al Padre, ha trasmesso alla Chiesa (cf. Gv 17,18). Maria, sin dall'inizio, è unita alla Chiesa, come una dei “discepoli” del Figlio, ma nello stesso tempo spicca in tutti i tempi come “figura ed eccellentissimo modello (della Chiesa stessa), nella fede e nella carità” (Conc. Vat. II, Lumen Gentium 53).
Benedetto XVI disse alle Vergini Consacrate: “Siate di nome e di fatto ancelle del Signore a imitazione della Madre di Dio" (RCV, 29) e le invitò alla perseveranza nel donare a Dio tutto il proprio essere indicando nella Vergine di Nazaret e nel suo “sì” la prima straordinaria realizzazione di questa offerta di sé. (cfr Udienza alle Partecipanti al Congresso dell’"ORDO VIRGINUM" 15 maggio 2008). E Papa Francesco ha di recente ricordato loro che le Vergini consacrate “sono icona di Maria e della Chiesa” (7 maggio 2013).






LETTURA PATRISTICA
Dai Discorsi di san Bernardo.
Sermo I de Pentec.1-6.PL 183,323-326.

Oggi celebriamo, dilettissimi, la festa dello Spirito Santo. Onoriamolo con allegrezza e amore adorante, perché in Dio lo Spirito Santo è quanto vi è di più soave. Egli è la bontà stessa di Dio, anzi è Dio. Se celebriamo i santi, quanto più dobbiamo lodare colui che li ha santificati, e se veneriamo i santificati, quanto più dobbiamo onorare il loro Santificatore! Oggi è il giorno in cui lo Spirito Santo da invisibile si è fatto visibile, cosi come il Figlio, invisibile per natura, si degnò mostrarsi nella nostra carne. Oggi lo Spirito rivela qualcosa di sé stesso, come appunto già l'avevano fatto il Padre e il Figlio, perché ci incamminiamo verso la vita eterna, che è la conoscenza perfetta della Trinità. Per il momento, questa conoscenza trinitaria ci è possibile soltanto in parte, mentre cogliamo con la fede tutto quello che ci sfugge. Conosco il Padre grazie alla sua opera creatrice. poiché odo tutte le creature proclamare: Egli ci ha fatti e noi siamo suoi 1( Sal 99,3 ). Infatti, dalla creazione del mondo in poi.. le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità. 2( Rm1,20 )
Invece l'eternità e l'immutabilità del Padre oltrepassano la mia comprensione, perché Dio abita una luce inaccessibile.


Fra le persone della Santissima Trinità conosco un po' meglio il Figlio, poiché egli si è incarnato; ma chi potrà mai cogliere la sua generazione eterna e la sua uguaglianza con il Padre? Nei confronti dello Spirito Santo mi è noto soltanto che egli è spirato, poiché la sua processione dal Padre e dal Figlio oltrepassa totalmente le mie capacità: Stupenda per me la tua saggezza,, troppo alta e io non la comprendo.3( Sal 138,6 ) Vi sono due poli in una processione: donde si viene e dove si va..Lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio, ma questa processione è avvolta per me in tenebre fitte. Invece, la sua processione verso gli uomini ha preso ad apparire chiaramente agli occhi dei fedeli. Al tempo della Pentecoste. lo Spirito invisibile manifestò la sua venuta con segni visibili; oggi, questi segni sono spirituali, ben più degni della natura dello Spirito. Allora, lingue di fuoco si posarono sugli apostoli, perché essi potessero proclamare in altre lingue parole di fuoco e predicare con labbra ardenti una legge di fuoco. Non rammarichiamoci se oggi lo Spirito Santo non si presenta più a noi in quel modo,
giacché a ciascuno e data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune.4(1 Cor 12,7 )


Potremmo dire che la manifestazione di Pentecoste è destinata più a noi che agli apostoli.
A che infatti sarebbe loro servito parlare in lingue se non per convertire le genti?
Ma lo Spirito ha agito in essi anche in modo più nascosto, cosi come continua a fare oggi in noi.
L'azione dello Spirito Santo negli apostoli si fa evidente se consideriamo che dopo Pentecoste la loro pusillanimità cede a intrepida fermezza: essi non cercano più di nascondersi per paura dei Giudei, e l'energia che prima mettevano nel fuggire ora li anima nell'annunzio della parola.
Il cambiamento è dovuto senz'altro all'opera dello Spirito di Dio in essi.
Il capo degli apostoli era stato terrorizzato dalla parola di una serva,e ora ha il coraggio per affrontare le autorità.
La Scrittura ci dice che gli apostoli se ne andarono dal sinedrio lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù. 5( At 5,41 )
Chi dubiterà allora che lo Spirito di fortezza li abbia visitati, colmandoli intimamente di energia invisibile? Anche oggi la presenza dello Spirito è manifestata da quanto opera in noi.


Lo Spirito ci comanda di stare lontani dal male e di fare il bene, ma egli soccorre la nostra debolezza in entrambe le situazioni, e benché le grazie siano diverse, esse provengono dal medesimo Spirito. Per distoglierci dal male, lo Spirito suscita in noi tre mozioni: il pentimento, la supplica e il perdono. Il nostro ritorno a Dio inizia con il pentimento, che non è nostra iniziativa, ma dello Spirito di Dio. Ce lo insegna la ragione e l'autorità lo conferma. Quando qualcuno, intirizzito dal freddo, viene a scaldarsi accanto al fuoco, potrà mai dubitare che il calore gli viene dalla fiamma? Cosi, se uno, congelato nel male, viene sciolto dagli ardori del pentimento, capisce che un altro spirito è venuto a scuotere e a giudicare il suo. Abbiamo anche nel vangelo l'autorità del Signore che sentenzia a proposito dello Spirito Consolatore: Egli convincerà il mondo quanto al peccato.6( Gv16,8 )


Abbiamo detto che il pentimento è la prima tappa del ritorno verso Dio.
Ma a che serve pentirsi di una colpa, se non si supplica per ottenere il perdono?
Perciò lo Spirito Santo colma l'anima di una dolce speranza, che la muove a pregare con una fiducia senza incrinature.
Permettimi di mostrarti che tale preghiera e opera dello Spirito di Dio.
Fino a quando lo Spirito è lontano dal tuo cuore, tu non troverai la preghiera,perché soltanto lo Spirito può gridare in noi: Abbà, Padre.
Infatti egli intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili. 7( Rm 8,15-26 )
Lo Spirito Santo opera simultaneamente nel nostro cuore e in quello del Padre:
nel nostro cuore intercede per noi presso il Padre; nel cuore del Padre perdona con lui.
Nel nostro cuore è il nostro avvocato, nel cuore del Padre è il nostro Signore.
Nel nostro cuore infonde la grazia della preghiera, nel cuore del Padre egli ci dona quel che chiediamo.
Nel nostro cuore istilla la fiducia verso il Padre, mentre inclina il cuore del Padre ad una misericordia più grande. Sappi bene che è lo Spirito a procurarci il perdono, poiché fu detto agli apostoli:
Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi. 8( Gv 20,22 )
Perciò mediante il pentimento, la supplica e il perdono lo Spirito Santo ci distoglie dal male.


In che modo lo Spirito agisce in noi per attirarci al bene? Anche qui, con una triplice azione: egli ammonisce, insegna e muove. Esorta la memoria, illumina la ragione, muove la volontà, giacché in queste tre facoltà consiste tutta l'anima Lo Spirito suggerisce alla nostra memoria il ricordo di buoni e santi pensieri .
Ogni volta che ti senti spuntare in cuore l'ispirazione al bene, rendi grazie a Dio e onora lo Spirito Santo, perché ne hai sentito la voce. Il vangelo dice infatti: Lo Spirito Santo vi ricorderà  tutto ciò che io vi ho detto.9
Nota bene la frase che precede: V'insegnerà ogni cosa.9( Gv 14,26 ) Si tratta della seconda opera dello Spirito: e gli istruisce la nostra ragione. Molti cercano di far il bene, ma non sanno che strada prendere. Dopo l'ispirazione al bene è perciò necessaria una seconda grazia che ci permetta di passare agli atti in modo che la grazia di Dio porti frutto. San Giacomo infatti ammonisce:
Chi sa fare il bene e non lo compie, commette peccato.10(Gc 4,17)
Non basta che lo Spirito ammonisca la memoria e illumini la ragione sul bene da compiere: deve poi smuovere la volontà perché attuiamo quel bene. Anche qui è all'opera lo Spirito che sorregge la nostra debolezza e riversa nei nostri cuori la carità; questa fa allora sorgere in noi una volontà orientata verso il bene.


Quando lo Spirito viene in te, s'impossessa di tutta la tua anima e tu odi che ti parla dentro:
suggerisce buoni pensieri alla memoria, istruisce e stimola al bene, illuminando la ragione, poi infiamma la volontà. Non ti vedi l'anima riempita di lingue di fuoco? La loro molteplicità simboleggia la diversità di operazioni, ma esse si uniscono nella luce unica della verità e nella fiamma ardente dell'amore. Soltanto nella consumazione finale la nostra anima sarà totalmente colmata, quando una buona misura pigiata, scossa e traboccante ci sarà versata in grembo. Quando accadrà ciò? Al compiersi dei giorni della Pentecoste. Beati quelli che sono già nel tempo pasquale eterno, ossia i fratelli a cui lo Spirito ha detto di riposarsi dalle fatiche terrene. Essi sono già entrati nell'anno giubilare, e aspettano con noi l'ultima Pentecoste.


Voi sapete che celebriamo i due tempi liturgici della Quaresima e della Pasqua.
L'uno precede la passione, l'altro segue la risurrezione.
La Quaresima è dedicata alla compunzione del cuore e alle lagrime della penitenza,
mentre nel tempo pasquale il cuore si apre all'amore adorante e al canto solenne dell'alleluia.
La Quaresima è figura della vita presente e Il tempo pasquale rappresenta il riposo dei santi dopo la morte.
Al termine dei cinquanta giorni del periodo di Pasqua celebriamo la Pentecoste.
Essa simboleggia l'ultimo giudizio, quando la casa sarà ricolma della pienezza dello Spirito Santo. Allora la terra intera sarà inondata dalla maestà dello Spirito, quando non solo l'anima ma il corpo risorgerà incorruttibile, a condizione di essere stato seminato in terra, quando ancora era corruttibile.